Achivio Docesano/I mosaici della Domus di Vico dei Sotterranei
“Ua stradina situata nel cuore del centro storico è uno dei luoghi più suggestivi della città”.
Circa l’articolo relativo al mosaico esistente in Via dei Sotterranei, accanto alla porta del cortile dell’Episcopio di Lecce, pubblicato poco tempo addietro, per motivi di spazio, non si è potuto dare conto di notizie più ampie e particolareggiate, che avrebbero permesso di comprendere meglio il contesto nel quale il detto mosaico si veniva ad inserire. Il primo imput, di carattere più generale, ci viene offerto dalla pagina di Wikipedia, alla voce “Storia di Lecce”; in particolare nel paragrafo dedicato al “periodo romano” si legge: “il tracciato di vico dei Sotterranei è occupato da una serie di mosaici pavimentali appartenenti ad una ricca domus del V secolo”. Volendo entrare maggiormente nei dettagli attingiamo alla pubblicazione di Alfredo Sanasi, apparsa in estratto (pagg.145- 165) su “La Zagaglia: rassegna di scienze, lettere ed arti, A. IX, n. 34 (giugno 1967)”, intitolata “Lecce romana”. Un primo accenno più generico si trova a pagina 158 dove è riportato, tra l’altro, che “altri avanzi di edifici romani (…) sono stati trovati (…) nel Vico dei Sotterranei”. Il testo prosegue entrando maggiormente nello specifico, infatti a pagina 160 possiamo leggere “Ricordando ora i mosaici a opus tessellatum, costituiti di tessere più o meno regolari a vari colori, rinvenuti in diversi punti della città, diremo che essi appartengono all’età romana. Sono stati osservati in due punti di Lecce. (…) il mosaico di gran lunga più importante si trova ancora oggi sotto il Vico dei Sotterranei, tra il giardino dell’Episcopio e le case dei sigg. Prato. Fu rinvenuto alla profondità di m. 1,97; e ingrandito lo scavo si vide che nel lato volto a sud era limitato da due gradini in pietra leccese per mezzo dei quali si saliva ad un altro piano pure coperto di mosaico con tessere di marmo bianco e nero e mattone rosso. Nel mosaico dei piano più basso era una grande fascia di marmo bianco che delimitava un quadrato nel quale erano disegnati, sempre a mosaico, dei circoli intersecantisi tra loro a guisa di nodo gordiano. In un altro dei riquadri era figurata una cerva ed in un altro ancora delle losanghe alati curvilinei tramezzate da tassellini bianchi e rossi.
Nello strato inferiore, a contatto del mosaico, si trovarono sei monete di bronzo, una di Diocleziano, una di Claudio, una di Faustina seniore, ecc.”. Si prosegue poi, tra le pagine 160 e 161 “Agli inizi di questo secolo il mosaico fu ricoperto con una volta a cemento (elemento a cui si fa riferimento nell’articolo citato al principio di tali annotazioni, N. d. A.) e reso quindi accessibile a tutti. Oggi se ne può osservare un ampio frammento (m. 0.90 x 0,97) nel deposito del Museo di Lecce (n. inv. 74). Da un nostro studio accurato, ci sembra di poter dire che esso risale al massimo al II-III sec. d. C., allorché si perde l’uso di dipingere lo stucco dello stesso colore delle tessere circostanti. Il motivo della cerva e l’altro, da noi osservato, dei rombi a lati curvilinei inscritti in cerchi, ci sembrano una derivazione, alquanto scadente, degli “emblemata” di età classica, accurata esecuzione e di nobile disegno: con l’età imperiale infatti gli emblemata divengono a volte più di uno in uno stesso pavimento e dopo l’età antoniniana (secoli II-III d. C.) a cui sembra appartenere il mosaico del Vico dei Sotterranei vanno sempre più diradandosi le composizioni figurate e l’eleganza disegnativa a mano a mano intristisce. Il De Giorgi non si pronuncia chiaramente sul carattere della costruzione di cui questa pregevole opera faceva parte, ma comunque formula l’ipotesi che essa poteva appartenere o ad un edificio privato, o ad un piccolo tempio, basandosi anche sul rinvenimento di due colonne formate da un impasto sul tipo dell’opus incertum di Vitruvio e ricoperte di intonaco rosso. Il Bernardini invece lo attribuisce probabilmente ad una chiesa bizantina sottoposta a quella delle Pentite (S. Sebastiano).” Appare ovvio come in alcuni punti il contenuto e l’esposizione siano molto tecniche ma senza dover necessariamente far proprio tutto ciò che è stato fedelmente riportato, rendendolo con parole maggiormente comprensibili ai “non addetti ai lavori”, lasciando da parte le informazioni non essenziali allo scopo che ci si è prefissato in sede di approfondimento, appare chiaramente e inequivocabilmente quale fosse il contesto in cui si inseriva la testimonianza musiva analizzata e quale fosse il suo valore dal punto di vista storico e culturale all’interno delle vicende della città di Lecce per ciò che concerne l’epoca romana. Volendo tirare le fila del discorso potremmo usare, appropriatamente e opportunamente, a mo’ di conclusione o chiosa, le parole contenute all’interno della presentazione del progetto “Lecce sotterranea”, partito nel lontano 1996, finanziato dal Comune e portato avanti in collaborazione tra la Soprintendenza Archeologica della Puglia e l’Università del Salento, che, in diverse zone del centro urbano ha effettuato una serie di indagini di scavo dirette dal Prof. Francesco D’Andria, presentando i risultati durante una escursione effettuata il 14, 15 e 21 febbraio 2010 e ripetuta il 6, 7 e 12 marzo : “ (…) Via dei Sotterranei – una stradina situata nel cuore del centro storico e uno dei luoghi più suggestivi e misteriosi della città (il [cui] nome rimanda alla presenza di stratificazioni archeologiche e, appunto, ai famosi “sotterranei”, venuti casualmente alla luce, studiati e ricoperti)”.
Giacomo Cominotti