Archeologia/Quei furti nelle tombe dei Faraoni
Tesori scomparsi…
Verso la fine della XXI Dinastia, in Egitto fu celebrato il processo per le ruberie nella necropoli reale. Sin dall’età precedente, infatti, le tombe dei faraoni, delle regine e dei nobili in genere erano state oggetto di sistematici furti, consumati con la connivenza di funzionari corrotti (compreso il “sindaco” di Tebe), i quali, ricevendo vere e proprie tangenti, garantivano l’impunità ai malfattori. Dai verbali delle confessioni rilasciate al processo emerge che dall’intera operazione, durata diversi anni, furono ricavati chili e chili di oro, di argento, di gioielli, vasellame prezioso e ricchissima mobilia (cfr. il datato, ma ancora valido, lavoro di J. Breasted, Ancien Records of Egypt, IV, Chicago, The University of Chicago Press, 1906, pp. 538-40, ora: London, Forgotten Books, 2013). Tuttavia, oltre, al furto, per quei tempi si trattava anche di sacrilegio (i faraoni erano divini). Era stato cioè commesso un reato che colpiva il “cuore ideologico” dello Stato, il quale si rivelò incapace di impedire le ruberie e persino di far giustizia.
Fu approntato un tribunale di altissimo livello (ne faceva parte il sommo sacerdote di Ammone), il quale condannò soltanto personaggi minori ed insignificanti nell’ambito dell’inchiesta. Del resto, molti anni dopo Cicerone riuscì a far condannare Verre non tanto per le ruberie consumate tranquillamente, quanto soprattutto perché aveva commesso furti sacrileghi, nonostante avesse agguerriti avvocati e forti protezioni. Ma si sa, in Roma, il diritto era tutto. L’analogia con i noti fatti della nostra Repubblica è fin troppo evidente, con una sola differenza: rubare allo stato italiano non è un sacrilegio, non è cioè un delitto contro la “sacralità” dello stato e conseguentemente contro la sacralità del consorzio dei cittadini italiani, i quali in quanto derubati dovrebbero essere risarciti uno per uno del danno patito a livello morale ed economico. Paradossalmente, invece, i defraudati devono pagare (sia pure indirettamente) per il furto subito, per un’azione illecita consumata da altri. La conclusione dell’episodio citato della Storia dell’Antico Egitto porta verso un’unica direzione: la crisi verticale dello stato egiziano, il quale nel brevissimo tempo di un secolo, da massima potenza decadde ad una situazione di totale sfascio interno, di perdita di prestigio internazionale e di divisione tra la popolazione. Ma questo appartiene alla storia egiziana e, poi, accadde nel lontano XI secolo a. C.
Paolo Agostino Vetrugno

















