Argenti, la scuola partenopea
Nel Regno di Napoli vi erano argenti lavorati per venti milioni di ducati.
Spesso nelle dimore nobiliari salentine sono conservati oggetti in argento realizzati da manifatture napoletane. Nella capitale partenopea, dove risiedevano importanti esponenti delle casate salentine, erano fiorenti molte botteghe di argentieri.
Gaetano Starace, Pisside, 1698,
argento sbalzato, cesellato, fuso, Lecce, Museo Diocesano
Nei primi anni del ‘600, Napoli era dominata dal viceré e conte di Lemos, Fernando Domingo Ruiz de Castro Andrade y Portugal (1581ca-1662), che, così come sostenevano nel 1973 Elio e Corrado Catello nel loro mirabile lavoro dedicato agli argentieri napoletani, influì non poco sull’organizzazione della corporazione degli argentieri. Il nobile spagnolo, dopo aver sposato Lucrezia Gattinara Lignana (1588-1624), divenne anche conte di Castro e barone di Monteroni e di Taurisano.
G. Starace- Pastorale- 1697-
argento fuso, sbalzato, inciso, Lecce, Museo Diocesano
Nel 1621 si registrava l’emanazione del bando del cardinal Zapata, col quale s’imponeva l’obbligo di annotare in apposito libro quantità, qualità e provenienza del prezioso metallo. Gli argentieri dovevano presentare ai consoli i lavori ultimati, in modo che essi prendessero nota e li marcassero con il punzone della strada degli Orefici. Il motivo principale della punzonatura era di proteggere l’acquirente dalle frodi.
Gaetano Starace, Tronetto, 1697,
argento fuso, sbalzato, inciso, Lecce, Museo Diocesano
È sempre stato difficile stabilire la purezza di un oggetto in argento solo con la vista. Nel Regno di Napoli, secondo un calcolo dell’abate Ferdinando Galiani che risale al 1750, a fronte della moneta circolante in argento, valutata in cinque milioni e mezzo di ducati, vi erano argenti lavorati per circa venti milioni di ducati, distribuiti nelle numerose chiese, congregazioni, confraternite e nelle private abitazioni. I napoletani, secondo l’abate, avevano assimilato i costumi degli antichi spagnoli e trovavano grandissimo piacere a circondarsi di pregevoli oggetti in argento.
Scuola Napoletana Sec. XVII,
Studio pastorale d’argento, Penna e inchiostro bruno acque
In realtà, la classe borghese napoletana del XVIII secolo si era orientata verso l’argento per la qualità stessa del metallo, adattabile a ogni moda o rapidamente trasformabile in denaro. Per riconoscere un argento napoletano e collocarlo nel giusto periodo di riferimento è importante conoscere l’uso della bollatura degli argenti realizzati nella capitale borbonica.
Saverio Manzone, Sant’Antonio di Padova, 1778,
argento fuso, sbalzato e cesellato, Monteroni, Chiesa Matrice, cm. 160
LECCE E TARANTO/GIGANTE FUSE S. ORONZO
Dalle ultime ricerche d’archivio risulta che nelle città di Lecce e di Taranto si utilizzarono dei bolli camerali per la marchiatura di oggetti in oro e argento che riportavano rispettivamente le sigle “LICI” e poi “Lec” e quello di “TAR”. Lecce ebbe dal 1809 una sua officina di garanzia, che adottò nel 1823 un bollo raffigurante un triangolo.
Domenico Gigante, Busto di sant’Oronzo (1671),
argento fuso, sbalzato, cesellato e pietra dura incastonata
Tra gli argentieri attivi in Lecce sono da ricordare le figure di Domenico Gigante, artista che fuse in argento il busto di Sant’Oronzo per la Cattedrale di Lecce e il busto di San Sabino per la Cattedrale di Bari, di Benedetto Romano, autore del Bambinello che sostituì quello trafugato alla statua argentea di Sant’Antonio da Padova della Parrocchiale di Monteroni, di Donato Zaccaria e di Giuseppe Vernaleone, quest’ultimo attivo a Monteroni nella seconda metà del sec. XIX.
Giuseppe Mancarella





















