Campagne Elettorali/“La sana nostalgia di ideali tramontati”
Giacinto Urso ricorda le Stagioni Elettorali dal post Fascismo fino agli Anni ’80.
“Eravamo agli albori della riconquistata libertà, del pluralismo politico e partitico, perciò dominava l’azione spontanea, che man mano si irrobustì sul piano delle idee, dei programmi e degli strumenti organizzativi”.
“Il pericolo di una democrazia senza popolo attesta, in ogni caso, una democrazia in sofferenza, anche perché, oramai, la partecipazione in generale alla vita pubblica è ai minimi storici”.
Si avvicinano le elezioni regionali, ed è quindi apertissima la consueta corsa al voto per i candidati ed i loro sostenitori. Da sempre, i politici, attraverso le campagne elettorali hanno cercato di accaparrarsi quante più croci sul simbolo del proprio partito. Ma, negli anni, i mezzi con cui portare avanti le campagne elettorali, e la società a cui esse sono rivolte sono cambiati e si sono evoluti. Scopriamo con l’Onorevole Giacinto Urso, Sottosegretario di Stato per la Pubblica Istruzione dal 13 febbraio 1976 al 28 luglio 1976 ed esperto politico, come negli anni si sono trasformate le campagne elettorali e come gli elettori le recepivano, rispetto ai giorni nostri.
Quando ha partecipato per la prima volta ad una campagna elettorale?
Indirettamente, nel 1946, subito dopo la liberazione d’Italia per la elezione dell’Assemblea Costituente e per il “referendum”, celebrato per la scelta tra repubblica e monarchia. In questa tornata non ebbi la possibilità di votare perché non avevo compiuto, anche se per pochi giorni, i prescritti 21 anni di età, che consentivano il diritto al voto. Invece, direttamente nel 1952, partecipai nella lista della Democrazia Cristiana, come candidato ed eletto al Consiglio Comunale di Nociglia, mia patria natale. Perciò, l’inizio del mio impegno politico e amministrativo, durato ben 65 anni, risale a queste due date. All’epoca fui anche segretario sezionale e di zona del partito di Alcide De Gasperi.
Come si programmava allora una campagna elettorale?
Eravamo agli albori della riconquistata libertà, del pluralismo politico e partitico, perciò dominava l’azione spontanea, che man mano si irrobustì sul piano delle idee, dei programmi e degli strumenti organizzativi. Diciamo che vi era molto di acerbo ma si notava un grande entusiasmo ed un crescente attivismo, che non nascevano dal nulla. Caduto il fascismo, nel contesto dell’Azione Cattolica Italiana, avevo acquisito una notevole formazione interiore e un’approfondita conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa, che aiutarono le sortite esterne, sia politiche, che partitiche ed elettorali.
Oggi quali sono le maggiori differenze rispetto ad allora?
Non si possono fare paragoni, che andrebbero a sfavore dell’attuale modo di far politica. Sono trascorsi quasi 70 anni, ma la memoria dei tempi antichi è nitida ai miei occhi e ancora palpitante nel mio cuore quasi novantenne, tra giorni. È un patrimonio ideale che non cancello e a cui attingo a piene mani continuamente per regolare i miei comportamenti e per capire quanto è cambiato rispetto a quei tempi. Domina pure un pizzico di sana nostalgia. Sia chiaro, però, che tali sentimenti non offuscano in me la sfida al futuro. In conseguenza, sono idolatra del nuovo, a condizione che sia migliore del passato, altrimenti, sia pure purificato, mi tengo stretto, stretto il virtuoso del vecchio, che cerco di riversare nel presente, che già, nel domani, appartiene all’avvenire. Con un costante senso di realismo. Il mondo è totalmente mutato e va opportunamente capito. Aggiornarsi è vitale. Discernere le maggiori differenze, non solo temporali, diviene obbligatorio, tenendo presente che le campagne elettorali seguono i ritmi di quando si svolgono e secondo la natura della prova.
Il pubblico a cui ci si rivolgeva è lo stesso a cui ci si rivolge oggi?
Oggi la società è profondamente cambiata. D’altronde guai se non lo fosse. È sufficiente in proposito, avanzare una realistica considerazione oltre alla naturale evoluzione delle temporalità e delle generazioni che si succedono con evidenti aspetti di notevoli variazioni. 70 anni orsono si usciva da una guerra perduta, che aveva imposto lutti innumerevoli, distruzioni immense, accrescimento di arretratezze secolari e sacrifici inenarrabili. Soprattutto questi ultimi avevano lasciato segni profondi in ognuno di noi. Oggi, invece, pur se duramente percossi da una devastante crisi economica, in Italia godiamo di un lungo periodo di pace, di un avanzamento sociale ragguardevole, di un acculturamento non disprezzabile e di una coscienza democratica, fortemente provata negli ultimi anni, ma ancora alquanto vivida, attraversata dalla rivoluzione industriale, da una gigantesca cascata di notizie in tempo reale e dal dispiegamento della globalizzazione. Tutto ciò, con tant’altro, comporta un approccio nei riguardi del pubblico totalmente diverso, in quanto la mutata anima popolare non può sopportare schemi inghiottiti nella notte dei tempi, anche se i valori essenziali vanno, in ogni modo conservati, consolidati e non affidati al cambio dei calendari.
Quanto e come ha agito il continuo e vertiginoso sviluppo dei media negli anni, sulle campagne elettorali?
Moltissimo, pure se non sono mancate battute d’arresto. Comunque i mass media restano potenti strumenti di divulgazione e, di sicuro, intaccano anche gli orientamenti elettorali. Particolarmente al momento. Indeboliti o annientati i partiti, chiuse tutte le palestre formative, imperante la non politica, scompigliate le periferie, divenuto sordo e grigio l’assieme dei poteri pubblici, le centrali informative hanno buon gioco e dettano indirizzi, qualche volta in modo invasivo e strumentale. È tempo, a mio parere, di risvegliare il proprio cervello personale dell’egoismo e della decadenza democratica.
I giovani oggi sono meno attenti alla politica perché sfiduciati o si può contare sul loro appoggio?
Sul filo delle precedenti risposte, ho da precisare, come caro ricordo, che 70 anni orsono, furono i giovani gli arditi alfieri del nuovo corso democratico. Oggi, ciò non si verifica. Forse è lo scoraggiamento in tutti i sensi a tenere lontani i giovani dalla politica. Potrebbe anche darsi che, in passato, la politica concedesse un’attrazione che al momento risulta mancante oppure, più probabilmente, tutti i giovani dei tempi lontani, provenivano dal sacrificio, chiedevano a gran voce e contribuivano in proprio al riscatto sociale. Invece, nel tempo che viviamo, i giovani derivano dall’era del benessere e perciò spesso pretendono che siano gli altri e renderli fiduciosi. In sintesi, amaramente, si può affermare che, nell’oggi, il salutare protagonismo giovanile, diciamo, è andato in pensione prima del tempo.
Quali sono i “trucchi del mestiere “che ha imparato con gli anni?
La buona politica non ammette trucchi. Anche quando si inventano, i risultati, sono caduchi e scadenti. Il vero “trucco”, che trucco non deve essere, è sapersi presentare al vaglio dell’opinione pubblica e soprattutto degli elettori con la coscienza e le mani pulite, con il tormento di ricercare il bene comune, con il presentare le proprie idee e i propri programmi in modo chiaro e sincero, avendo rispetto delle persone da cui si invoca fiducia e sostegno. Anche l’immedesimazione nei bisogni della gente va messa in conto da parte di chi si candida a servire il pubblico bene, a riportare l’altro in sé e a offrirsi, con sentimenti di vicinanza all’altro, rendendolo più che prossimo. L’umanizzazione della politica è una sfida perenne. Se raggiunta, è la più bella vittoria a prescindere dal numero dei voti ricevuti. A detta causa, non giovano gli attuali voltagabbana, il trasformismo oppure le attuali degenerazioni, prodotti dell’antipolitica che hanno corroso anche le menti che apparivano immuni.

















