Che crisi fa?/La speranza non prescinde dalla legalità
Di questi tempi la nozione di “crisi” – intesa come situazione di grave difficoltà – ha perduto la tradizionale accezione settoriale (crisi della società, dell’educazione, della giustizia, ecc.) per assumere la dimensione di dramma senza confini e senza tempo, che si traduce in una generalizzata, penosa sensazione di malessere e di disagio esistenziale. Ci sembra di essere giunti al punto di caduta massimo, quello da cui alcune civiltà del passato, celebrate per potenza economico-militare e ricchezza culturale, non si sono più risollevate. In effetti, la diagnosi obiettiva dello stato attuale della nostra società non induce all’ottimismo: larghi strati di popolazione precipitati da una condizione di vita modesta ma decorosa alla più cupa e umiliante indigenza; servizi sociali (sanitari, amministrativi, giudiziari, urbani, ecc.) sempre più inadeguati e costosi; istruzione, formazione e ricerca cadute a livelli di terzo mondo (che ne è più della tradizione culturale italiana e della nostra riconosciuta superiore creatività?) per effetto della forte riduzione di stanziamenti a favore della scuola, ritenuta da certi politici “improduttiva”.
Siffatto quadro desolante va ricondotto ad un sistema politico-amministrativo inefficiente e corrotto, dominato da egoismi e cupidigie individuali e di gruppo, in un contesto caratterizzato da sfrenati localismi e razzismi. Di qui il discredito verso la politica e la disaffezione verso la partecipazione alla vita democratica in tutte le sue forme. Per avviare un radicale cambio di rotta e per aprire il cuore alla speranza occorre un recupero del senso vero della legalità. Questa è una categoria valoriale che nell’esperienza quotidiana appare tanto strombazzata quanto disattesa. Lungi dall’essere assunta a canone di vita individuale da praticare con coerenza, la legalità viene adoperata nel linguaggio corrente e nella comunicazione mediatica a mo di paludamento retorico, oppure imposta come dovere degli altri; ed è perfino invocata strumentalmente per giustificare o rafforzare credenze, posizioni o condotte che sono al limite delle regole e persino contro di esse.
Pur intesa nell’accezione più ristretta – come “conformità alle prescrizioni di legge” – una legalità recuperata e più diffusamente osservata sortirebbe l’effetto di bonificare le scelte politiche, di normalizzare le relazioni sociali e l’azione della Pubblica Amministrazione e di dare impulso alle attività economiche e commerciali, liberando le imprese dall’assedio dei malavitosi e degli usurai e favorendo gli investimenti dall’estero. Ma se davvero si vuole il rilancio del nostro Paese occorre dilatare con coraggio il senso della legalità ben oltre gli steccati del diritto positivo mediante il recupero, condiviso e vissuto, dei valori espressi nella prima parte della Carta Costituzionale, mirabilmente concepita per contemperare le primarie esigenze di vita dei cittadini – mediante la solenne affermazione del diritto al lavoro e della libera iniziativa economica – e i diritti fondamentali della persona umana, declinati in tutti i particolari aspetti che concorrono a connotarla.
Per rilanciare e conferire pregnante attualità alla legalità occorre seguire due direttive: procurare ai giovani ed alle famiglie valide opportunità di lavoro e potenziare la dimensione educativa non soltanto attraverso le strutture a ciò preposte, ma anche utilizzando e moltiplicando i circoli culturali e sociali, laici e religiosi, sensibili allo sviluppo della solidarietà umana e alla ricerca del bene comune. Soccorre allo scopo il prezioso insegnamento della Cei, contenuto nella nota pastorale “Educare alla legalità”, nonché quello recentissimo di Papa Francesco, il quale, riprendendo il tema plurisecolare “a Cesare e a Dio” e attualizzandolo, giunge a definire “sepolcri imbiancati” i cristiani dalla doppia vita che con una mano rubano allo Stato e con l’altra danno alla Chiesa, così tracciando un profilo della legalità cristiana più autentico e più vicino all’accezione laica.
Il senso della legalità – scrivono i Vescovi – non è un valore che si improvvisa, ma esige un lungo e costante processo educativo cui si perviene attraverso la collaborazione di tutti, presbiteri e laici. In merito, decisivo e trascinante è il ruolo del volontariato: uomini e donne che scelgono di mettersi al servizio degli ultimi per offrire la loro opera non possono che essere cittadini integerrimi e, al contempo, cristiani coerenti, capaci di testimoniare uno stile di vita improntato alla totale gratuità e scevro da smanie di potere, di protagonismo o di tutela di interessi personali.
Elio Romano
Presidente del Centro Diocesano Antiusura



















