Conservatorio/Il M° Nitti: educare con la musica, una scommessa
La Festa della Musica. A colloquio con il Direttore dell’Orchestra Giovanile del “Tito Schipa”.
Il Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale della città, ha proposto l’ultimo concerto in cartellone, dal titolo “Festa della Musica”. L’evento è stato promosso in occasione della popolare iniziativa, giunta alla XXI edizione, che si celebra ogni anno nel solstizio d’estate in oltre trecento Paesi in cinque continenti. I protagonisti sono stati Gianmarco Leuzzi (flauto), Antonio De Pascalis (oboe), Fabrizio Miglietta (clarinetto), Antonio De Santis (fagotto), Marco Oliveres (corno) e Alberto Manzo (pianoforte), sostenuti dall’Orchestra Giovanile del Conservatorio “T. Schipa” diretta dal M° Michele Nitti.
La serata si è aperta con la Sinfonia concertante per oboe, clarinetto, corno, fagotto e orchestra (K 297b) in mi bemolle maggiore di Wolfgang Amadeus Mozart; dopo è si è potuto ascoltare la Fantaisie brillante pour flûte et orchestre sur des airs de “Carmen” di Francois Borne e si è concluso con il Rondò brillante in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra op. 29 di Felix Mendelssohn- Bartholdy. “L’Ora del Salento” ha intervistato, in esclusiva, il maestro Michele Nitti.
Il direttore di un’orchestra giovanile come riesce a coniugare attività educativa e artistica?
L’arte è per definizione un mezzo privilegiato per la formazione della persona e per la sua educazione. Questa intuizione è espressa già nel De ordine di Sant’Agostino, e la ritroviamo nel De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Cappella, e ancora in Seneca, Quintiliano, Varrone e altri ancora. Troppo a lungo, invece, la musica è stata confinata nel remoto regno del piacere e dell’evasione, privata di qualunque contenuto intellettuale ed educativo; non a caso tantissime persone, pur culturalmente raffinate, non si vergognano affatto di confessarsi analfabeti per ciò che concerne la musica. L’orchestra, nello specifico, permette di educare nel senso più strettamente etimologico del termine e-dūcĕre: “tirare fuori” la propria individualità mettendola a servizio dell’insieme, secondo le idee galvanizzanti ed interpretative del direttore.
Tra efficacia e bellezza qual è il valore prioritario del gesto di un direttore?
La figura del direttore, storicamente, nasce con la prerogativa di dare il tempo e permettere ad un’esecuzione di iniziare, svolgersi e terminare secondo una precisa volontà. È facile, quindi, intuire quanto possa esser determinante l’efficacia del gesto perché ciò si realizzi. Molto più difficile, invece, è riflettere sul significato e sul valore della bellezza. È possibile definire univocamente e sistematicamente un gesto bello? Che valore avrebbe? Credo che rispetto alla bellezza del gesto in sé sia più importante la bellezza che il gesto riesce ad evocare attraverso la musica. Non sempre, infatti, ad un bel gesto corrisponde un bel suono o una bella idea musicale, così come non è da escludere aprioristicamente che da una gestualità sgraziata possano scaturire pagine di memorabile bellezza. Certamente il gesto dovrebbe essere funzionale all’idea e a ciò che si vorrebbe ottenere. Troppo spesso, invece, la gestualità strizza l’occhio alla teatralità, al pletorico, all’immagine stereotipata del direttore che si pavoneggia e che dà l’illusione che le competenze dipendano dall’esasperazione dei movimenti o dalla folta chioma.
Per un direttore d’orchestra non è facile sviluppare con successo la propria carriera. Quali opportunità offre oggi ai giovani talenti questa professione?
Non sempre l’esito di una carriera dipende da fattori che afferiscono pienamente all’ambito delle competenze e del talento. Le grandi biografie dei più celebri direttori sono costellate da fattori che rasentano il caso, le coincidenze, talune congiunture favorevoli. Io continuo ad augurarmi che le naturali aspirazioni di ogni artista non si riducano mai a sterile carrierismo, ma puntino al tenace perseguimento dell’obiettivo di poter far musica nel migliore dei modi possibili. Certamente le prospettive direttoriali, in senso stretto, sono strettamente connesse al difficile panorama che tutte le arti attraversano. Ma ciò non ha il diritto di spegnere le speranze e le aspettative di chi può dare il proprio contributo allo sviluppo dell’arte. Ciò che mi preme riguarda, invece, i molti che hanno già una carriera felicemente avviata. C’è una generalizzata “sovraesposizione” e un culto dell’immagine che finiscono non di rado per obnubilare il valore della musica e che dimostrano una diffusa incapacità di lunghi silenzi, talvolta necessari per scongiurare concessioni alla banalità.
















