Pubblicato in: Ven, Set 18th, 2015

Erano Famosi/Fortunato Loddi… Bomber Romano, Leccese per sempre

Renna lo fece arrivare a Lecce dalla Lazio. A fine carriera si è fermato nel Salento e qui vive con la sua famiglia. 

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“Dopo l’attività sportiva ho condotto una vita normalissima, ho fatto il commerciante per 27 anni nel mio negozio di articoli sportivi, nello stesso tempo sono stato istruttore per 22 anni nelle scuole di calcio, a Lecce e nella provincia: ho iniziato nel Lecce club, ho proseguito nel Fiamma Monteroni, San Cesario, Castrignano dei Greci”. 

“Con tutti i soldi che hanno guadagnato nella loro carriera possono anche non lavorare più”. La frase, con una buona dose di invidia, è chiaramente riferita al dorato mondo del pallone, che pare non risentire della crisi e, spesso, continua a offrire cifre esorbitanti agli atleti. Però, è sempre errato generalizzare. “La passione per il calcio – confida Fortunato Loddi, ex bomber del Lecce – nasce quando si comincia a cammi­nare dritti, si vede un pallone, ci si mette a tirare calci e ogni momento è buono. Non sono stato spronato da nessuno: mio padre mi accompagnava presso le piccole squadre di calcio, ma io giocavo all’oratorio, per strada, dentro casa, al giardi­netto. Così, il fatto di essere diventato un calciatore pro­fessionista è stata una conse­guenza. Sì, era il mio sogno da bambino, ma non pensavo mai di arrivarci”. Poi, man mano che cresceva, vedeva inverarsi questa chimera. Nel frattempo studiava, si diplomava, cercava l’università per frequentare ingegneria. “Il lavoro tattico e fisico non penso mi abbia po­tuto insegnare molto per la vita in generale. È più importante sapere che in essa, per conqui­stare un obiettivo, bisogna dare il massimo e, se ci si crede veramente, di solito si rag­giunge la meta”. Suo modello era Gigi Riva e fisicamente si assomigliavano. “Eravamo entrambi mancini, con più o meno le stesse doti, per cui lo emulavo, però, sempre rispet­tando le mie capacità fisiche e tecniche”. Nei rapporti con i colleghi non ha avuto mai problemi di differenza di ceto o religione o etnia, in quanto il calcio è uno sport aggre­gante, che crea quella sinergia globale per il raggiungimento di un obiettivo comune. “Ho avuto amici stranieri senza problema. Non ho rimpianti, non tornerei indietro, nono­stante oggi il calcio navighi nell’oro e noi allora nell’ar­gento, ma sono felicissimo di aver vissuto in quegli anni”. Nato nel 1950, ha conosciuto tutto con una certa gradualità. Magari, ai nostri giorni si va di corsa, senza tempo utile per godere le fasi importanti per la crescita. “Il calcio oggi movimenta una miniera di soldi impressionante, per le scommesse che si giocano in tutto il mondo. Non riusciamo a capire l’entità della mobi­litazione di denaro e tutte le società calcistiche ne traggono beneficio. Perciò, è anche giu­sto che i calciatori guadagnino cifre stratosferiche, perché son loro gli attori principali con intorno tutto un entourage, Presidenti del calcio compresi, i quali prima rischiavano in proprio, contrariamente ad ora”. Quando usciva fuori dal tunnel per entrare nel campo di calcio cercava di concentrarsi per esprimersi al meglio. Pen­sava alla partita, all’ avversario suo marcatore, per non delu­dere i tifosi. Risultati a parte, era importante uscire a testa alta dal campo. Così, viveva il prepartita anche non dormen­do bene di notte, in attesa dell’incontro, facendo piccoli sogni sul domani, sul tempo e la fine della partita. “Dopo i tre fischi conclusivi si spegne tutto, tensioni comprese.

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Ho vissuto anche l’esperienza della panchina: è una posizione scomoda per chi ama giocare, però sostengo che l’allenatore debba decidere chi far scendere in campo, assumendosene le responsabilità. Non condivido le manifestazioni di insofferen­za di chi sta in panchina e si rabbuia perché il coach in quel momento non lo sta mettendo in campo”. Lo spogliatoio è un ambiente di lavoro in cui si può scambiare quache parola per conoscersi: dopo i calciatori non amano rifrequentarsi. “È come un ufficio, un ambien­te di lavoro in un’azienda qualsiasi”. Per le trasferte, una volta si prendeva il pullman: il giocatore cercava di passare il tempo anche organizzando nel retro il tavolinetto per un’e­ventuale partita a carte. “Dopo l’attività sportiva ho condotto una vita normalissima, ho fatto il commerciante per 27 anni nel mio negozio di articoli sportivi, nello stesso tempo sono stato istruttore per 22 anni nelle scuole di calcio, a Lecce e nella provincia: ho iniziato nel Lecce club, ho proseguito nel Monteroni, Fiamma Monteroni, San Cesario, Castrignano dei Greci”. Non era importante per lui dove fare l’istruttore di calcio, ma come farlo. “Poi ho chiuso il negozio”. Le sue attuali abitudini di pensionato sono l’aiutare la famiglia, le sue due figlie di 35 e 37 anni e sua moglie e le supporta sia con i consigli che con qualche contributo economico nei limiti delle possibilità. “Sono a Lecce da 40 anni: venuto da Roma, ora conosco molte persone e sono ben accetto ovunque vada”. Gli piace vivere qui, perché la città ha ancora man­tenuto quell’aspetto di piccolo agglomerato urbano, dove ci si conosce un po’ tutti e di mattina, quando si esce di casa, ci si saluta. “Questo contatto umano – conclude – mi dà la sensazione di benessere: al contrario dei grandi centri qui ancora qualche valore umano resiste”. 

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