Pubblicato in: Gio, Nov 12th, 2015

“I Razza strana”… Salento d’altri tempi

Monteroni/Giacomo Toma presenta il suo nuovo romanzo edito da Goware: Un atto d’amore a questa terra bella e difficile. 

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“Non è un romanzo storico. La base di partenza sono i racconti dei miei nonni, i quali mi hanno trasmesso l’amore per un mondo finito ma irresistibile”.

Ha presentato nei giorni scorsi un nuovo romanzo, una saga familia­re che ripercor­re il Novecento ambientata nel Salento: un giovane avvocato, Giacomo Toma, già autore nel 2011 di “Sangue di Nemico”, ha pubblicato una nuova opera, “I Razza strana”, già accolta con vivo interesse da diversi lettori.

Cosa significa scrivere un romanzo per uno scrittore di ventinove anni che è già alla sua seconda pubblica­zione?

Significa essenzialmente fare esercizio di libertà. Il mon­do di oggi ha assuefatto noi gio­vani all’idea di dover subire la realtà. Ecco: io vivo la scrittu­ra come un’ancora di salvezza, una grande consolatrice, l’ulti­ma possibilità di riscatto.

Parlaci del tuo nuovo ro­manzo: chi sono “I Razza strana”?

I razza strana sono una famiglia a cui la storia ha ri­servato un destino diverso. La stranezza si riferisce alla sin­golarità dei comportamenti dei protagonisti, ma anche al fatto che appartengono letteralmente a un altro microcosmo: non si tratta di personaggi sensazio­nali, ma di uomini semplici che riescono comunque a tirare fuo­ri dal cilindro le iniziative più incredibili.

La storia alterna momen­ti di ironia e divertimento ad altri di pura malinconia verso un tempo che se n’è andato. C’è qualcosa di au­tobiografico in questo ro­manzo?

È inevitabile che un auto­re riversi nelle proprie pagine, anche a livello inconsapevole e istintuale, una parte del proprio vissuto. Ma qui non c’è nessun intento autobiografico, semmai un tributo alla mia gente, rap­presentata in tutta la sua genu­inità e varietà umana.

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Perché un giovane raccon­ta un’epoca che non ha vis­suto?

Questa è una domanda ri­corrente, ma la verità è che io non racconto l’epoca in sé e questo non è un romanzo stori­co nel senso proprio del termi­ne. La base di partenza sono i racconti dei miei nonni, i quali mi hanno trasmesso l’amore per un mondo finito ma irresistibi­le, che è giusto rievocare con la rielaborazione e l’invenzione ti­pica di ogni romanzo. E la gioia più grande è quando un signore dice di essersi riconosciuto in ciò che ho scritto, di aver ri­vissuto un qualcosa della sua giovinezza che credeva di aver definitivamente perduto.

Se dovessi raccontare il Salento a un uomo venuto da lontano, che parole use­resti?

Non di facciata come spes­so facciamo noi salentini che ci crogioliamo acriticamente dietro le bellezze naturali della nostra terra. Dico no ai prose­litismi e alle esaltazioni campa­nilistiche. Spiegherei che il Sa­lento è una terra bella e difficile come tutte le terre del Sud e va amata prendendo prima di tutto coscienza dei suoi limiti e difet­ti, perché è questo il solo modo per poterli risolvere.

E un romanzo? Come può contribuirvi?

Ogni romanzo è un atto d’amore incondizionato e, pur essendo un’invenzione, veicola una precisa visione del mondo e attribuisce una precisa identità alla sua terra. Tante più sono le chiavi di lettura di un mondo, tante più possibilità avrà quel mondo di farcela. Ogni raccon­to, dunque, è una speranza in più.  

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