Il Ministero del Cappellano… Dietro le sbarre un’umanità senza voce
La celebrazione della Giornata del Carcerato a Borgo San Nicola con l’Arcivescovo.
La giornata del carcerato è un appuntamento che si ripete annualmente nella nostra chiesa diocesana. È l’occasione propizia per riflettere sulla situazione del carcere di Lecce e, soprattutto, per immedesimarsi nella vita che un detenuto vive all’interno del penitenziario salentino.
Il nostro vescovo ci tiene particolarmente a questa giornata. È un appuntamento che si rinnova la prima domenica di marzo e che vede (anzi… dovrebbe…) impegnati i detenuti presenti nel carcere in una proposta di vita che abbraccia i grandi temi della fede: conversione, penitenza, rinnovamento interiore, rieducazione.
NEI MEANDRI DEI DIVIETI
Purtroppo negli ultimi anni la giornata del carcerato, nonostante il grande impegno di don Gigi Fanciano che ha voluto fortemente questo appuntamento, si è un po’ persa nei meandri dei permessi e dei divieti di incontro tra detenuti presenti all’interno dell’Istituto di Borgo S. Nicola. Chi non ha esperienza con il carcere non può immaginare cosa può significare mettere insieme in un’aula detenuti con tipologie di reato differenti e con diversi tà di comportamenti e reazioni a contatto con stimoli provenienti dall’esterno. E così la Messa che si celebra all’interno del Carcere la prima domenica di marzo, seppure ben partecipata e presieduta dal vescovo, vede la presenza di un numero inferiore di detenuti rispetto al passato proprio perché il regolamento interno del carcere tende a mettere insieme poche persone all’interno di una struttura chiusa quale può essere una cappella o un teatro.
REALTÀ INVISIBILE A MOLTI
Al di là di questi problemi, resta la suggestione di una giornata che manifesta una realtà invisibile a molti…Il carcere lo conosciamo perché ci passiamo davanti quasi ogni giorno. Lo vediamo mentre attraversiamo la tangenziale. Con la coda dell’occhio ci soffermiamo a scrutare le finestre con le grate e i panni lavati appoggiati sulle sbarre di ferro. Mentre guidiamo con la nostra auto, quasi indugiamo a intravedere un volto e uno sguardo… In altre parole, il carcere ci fa un po’ paura. È come vedere una persona e non poterla guardare negli occhi. Nella sua architettura tanto variegata, ad un primo sguardo appare come un’astronave… Poi, se ci si sofferma distraendo lo sguardo dalle fredde finestre di ferro, sembra un po’ una scuola e un po’ un ospedale. Poi, seguendo dolcemente la curva che orienta verso la città, si ha un impatto più oggettivo: le alte mura, gli enormi fari, i gabbiotti agli angoli delle pareti esterne sorvegliati da austeri agenti di polizia armati fino ai denti, ci ricordano che nella nostra città, a pochi Km dalle nostre case, esiste un enorme penitenziario dove vivono poco meno di 1.200 persone e dove lavorano 800 agenti di polizia penitenziaria. Un labirinto di corridoi e di uffici dislocati in un’area che sembra non finire mai; all’interno poi un’infinità di scale che sembrano intersecarsi fino quasi a scontrarsi; un via vai di gente e di operatori che sembrano tessere di un interminabile mosaico fatto di persone con divise differenti.
FRENESIA CHE INCURIOSISCE
Quando si entra nel carcere si ha l’impressione che tutti abbiano fretta… C’è una frenesia che un po’ inquieta e un po’ incuriosisce. Le prime volte che sono entrato nel carcere mi sono chiesto dove andassero così leggere e assorte nei pensieri quelle persone che affollavano il carcere. Questo però solo nelle ore mattutine. Ho capito poi che di mattina ci sono i trasferimenti, le visite mediche, i colloqui con i parenti e con gli operatori. Di pomeriggio invece il ritmo si ferma… Nel carcere restano solo i poliziotti e pochi volontari che hanno a cuore la sorte di questa povera gente detenuta e condannata a vivere nell’ombra…spesso per anni e anni… Finita l’ora d’aria, dalle tre in poi scende lentamente il buio anche in piena estate. Gli agenti passano dalle celle e, una volta presa visione che il detenuto è chiuso all’interno (in compagnia di uno o due altri compagni)… la giornata finisce mestamente. Si rimane soli con i propri pensieri e, spesso, i propri fantasmi…
TRA COMPAGNI DI SVENTURA
Alle 17.30, passato il carrello con una frugale e veloce cena, ci si scambia la buonanotte tra compagni di sventura… La giornata è ormai terminata… anche se le lunghe ore della sera e poi, quelle ancora più difficili della notte, scandiscono un altro giorno che è passato. Un giorno in meno al fine pena. Un anno ancora e un anno ancora fino a quando, per quelli che ce la fanno, arriva dinanzi alla cella un agente di polizia, fa firmare una carta e comunica: “liberante…”. Finalmente si apre il grande cancello che separa il mondo interno dal mondo esterno e inizia una vita nuova…
O SI IMPAZZISCE O CI SI ABITUA
Per molti detenuti la vita in carcere è così: sempre uguale e sempre la stessa nell’attesa di quel giorno tanto sognato e tanto atteso. La vita in carcere è così: o si impazzisce o ci si abitua… C’è anche una terza via, forse quella utilizzata dalla maggior parte dei detenuti: si diventa un po’ maniacali nelle abitudini. C’è chi è maniacale nell’alimentazione, chi lo è nelle attività fisiche, chi nello studio del diritto penale, chi nella pratica religiosa, chi nello scrutare dentro la propria anima… Termino così la mia riflessione in occasione della giornata del carcerato. Insieme a don Gigi, rinnoviamo l’impegno a tutte le parrocchie della diocesi di ricordare i detenuti di Lecce nella preghiera e nell’aiuto concreto attraverso i suggerimenti offerti dal nostro Arcivescovo. Queste righe sembrano essere più il “diario di bordo” di un detenuto che racconta la sua giornata tipo piuttosto che un articolo per un giornale diocesano. In realtà ciò che scrivo è semplicemente la descrizione oggettiva di un cappellano che condivide con questa povera gente ore e ore della sua giornata. Per questo vivo il mio sacerdozio nel carcere come uno straordinario dono di Dio e come un compito e una missione che il Signore mi ha dato: dare voce a chi non ce l’ha…
Alessandro D’Elia


















