Il Ven. Fra’ Giuseppe Ghezzi/Sessant’anni dalla morte
Ricorrono 60 anni dalla morte del Venerabile fra’ Giuseppe Ghezzi, avvenuta a Lecce il 9 febbraio del 1955. Quando penso alla fanciullezza di fra Giuseppe Ghezzi lo sento lontano, non solo per il tempo, ma anche per l’appartenenza sociale, io sono figlio di contadini, lui era figlio di duchi. Solo due anni prima della sua nascita (1872) lo Stato Pontificio finiva di esistere. I bersaglieri sfondarono Porta Pia ed occuparono Roma in nome del Re Vittorio Emanuele II nuovissimo inquilino di Palazzo del Quirinale mentre Pio IX diventò prigioniero in Vaticano e Garibaldi faceva l’agricoltore di fagioli a Caprera.
Fra’ Giuseppe Ghezzi crebbe nel contesto della nuova Italia appena nata e toccò con mano le molte trasformazioni della società in rapida sequenza e con profondi contrasti. Anche fra’ Giuseppe Ghezzi avrà notato che con lo Stato Unitario furono sostituiti solo gli stemmi dei Borboni con gli stemmi dei Savoia, mentre i servi della gleba aumentarono nel numero e nella miseria, perché i nuovi patroni si dimostrarono avidi di roba più dei vecchi. Il popolo dei cafoni reagì come poté con il brigantaggio e nel 1872 il fenomeno faceva parlare ancora di sé. Nell’opinione pubblica si andava dicendo che si stava meglio quando si stava peggio. La corda fu tirata troppo, tanto che si spezzò e si ebbero i primi moti di piazza con l’assassinio di Re Umberto I.
La gente era proprio arrabbiata contro la tassa sul macinato che colpiva i morti di fame. Sempre per avidità di roba poi seguirono ben due guerre mondiali (1915-18) e (1940-45). Certe altre volte pensando a fra’ Giuseppe Ghezzi lo sento vicino e familiare. Quel 9 febbraio 1955 quando morì fra’ Giuseppe Ghezzi io ero a Manduria, seminarista di appena 15 anni. Il padre Diomede Faggiano, ricordo benissimo, convocò i seminaristi ed illustrò loro la personalità del frate scomparso. Diceva esplicitamente che fra Giuseppe era stato un santo e ci raccontava molti aneddoti della sua vita, molti fatti di cronaca che si riferivano alla malferma salute, allo spirito di mortificazione, alla preghiera silenziosa e continua. Leggendo inseguito la biografia di fra Giuseppe Ghezzi mi sono rallegrato nell’apprendere che lo stesso Vescovo mons. Zola aveva conferito il sacramento della cresima al santo frate ma anche a mia madre. Come pure mi sono rallegrato nell’apprendere che una sorella di fra’ Giuseppe Ghezzi aveva fatto famiglia a Vernole, il mio comune dove ho conosciuto un nipote che parlava molto bene dello zio.
Anche i miei genitori ci parlavano con ammirazione del frate che avevano visto spesso questuare in paese. Quella di fra Giuseppe Ghezzi è stata nella chiesa e nella società una presenza significativa. Tra il 1906 e il 1915 fra’ Giuseppe Ghezzi compì su se stesso qualcosa di rivoluzionario, per alcuni di scandaloso: buttò alle ortiche il titolo di Conte e con esso l’avidità della roba. Si presentò al convento dei frati e chiese di potersi ritirare qui ad una sola condizione di essere inserito nella categoria dei “piquezzi” ossia essere un frate questuante. Fu accettato e ben presto si mise a girare di paese in paese e di porta in porta a chiedere l’elemosina. Con la carità della buona gente, egli raccoglieva pure frecciate sprezzanti da parte dei numerosi buontemponi. La fama di santo lo inseguiva e lo precedeva dovunque andasse. Il modello di vita che intendeva perseguire era l’amore per i poveri, per la preghiera silenziosa, per il nascondimento della propria personalità. L’autorità ecclesiastica, mediante il processo canonico, ha verificato il vissuto di fra’ Giuseppe Ghezzi e ha confermato pubblicamente l’esemplarità del suo vissuto dichiarandolo “venerabile” cioè egli ha posseduto e praticato le virtù teologali: la fede, la speranza e la carità.
Antonio Febbraro
















