La Chiesa di Lecce abbraccia Francesco
La gioia della Chiesa di Lecce/Papa Francesco: ottimismo e misericordia.
Centro visibile e propulsore di comunione tra tutte le Chiese.
IL NUOVO PONTEFICE, FRUTTO DEL CORAGGIO DI BENEDETTO.
Jorge Mario Bergoglio, Arcivescovo di Buenos Aires, è il 267° Papa con il nome di Francesco. Sin dal suo primo saluto dalla loggia della basilica di S. Pietro, tutti abbiamo avvertito che nella vita della Chiesa stavano per subentrare cambiamenti notevoli non all’insegna della discontinuità ma in nome della più antica tradizione della stessa Chiesa.
Si è presentato subito come vescovo di Roma e ha indicato Roma come la Chiesa che presiede nella carità. Questa espressione non è stata casuale, ma un modo per orientare, attraverso il linguaggio, una visuale che riguarda la figura del Papa. È il vescovo di Roma, che, quale successore dell’apostolo Pietro, è chiamato ad essere centro visibile e propulsore di comunione per tutte le Chiese.
Tutto questo avrà certamente delle ripercussioni sul piano della ecclesiologia, che manifesterà ancor più la sua indole di ecclesiologia di comunione; in particolare, verrà incrementata la collegialità episcopale. E quanto più sarà dato impulso agli organismi di comunione, a tutti i livelli, tanto più sarà snellito l’apparato giuridico, che pur necessario, spesso rischia di appesantire la vita della Chiesa.
Il porre l’accento sul papa come vescovo di Roma altro non significa per papa Francesco che occorre riprendere l’ecclesiologia di comunione, peraltro già ben elaborata dalla Lumen Gentium, guardando all’antica prassi ecclesiale, secondo la quale la comunione non ha una struttura piramidale ma sinfonica.
Il primato di Pietro prima di essere un primato giuridico è un primato di carità. Giovanni Paolo II, nella terza parte dell’enciclica Ut unum sint, aveva sottolineato molto bene la dimensione del servizio nella carità e nello spirito di riconciliazione che spetta al successore di Pietro.
Giovanni Paolo II, sempre nella stessa enciclica, ricorda il motivo per cui il Papa Gregorio Magno scelse il titolo di “Servus servorum Dei”. Un altro indicatore significativo che è emerso appena eletto papa è stato l’invito alla preghiera, attraverso il quale egli ha inteso indicare la dimensione vitale della Chiesa; Chiesa che non dipende dagli uomini di Chiesa ma viene condotta da Dio. Colui che dovrà impartire la benedizione Urbi et Orbi ha chiesto a tutto il Popolo di Dio una benedizione.
La scelta di iniziare il ministero petrino il giorno dedicato a S. Giuseppe, Santo tanto caro al nuovo papa, mi ha fatto pensare a ciò che scrive S. Ambrogio, Vescovo di Milano: “Maria a uno è sposa, ma è resa feconda da un Altro, perché anche le singole Chiese sono bensì fecondate dallo Spirito e dalla grazia, tuttavia sono legate visibilmente al vescovo, che temporaneamente le governa” (Comm. a Luca 2,7). Il vescovo, in particolare, il Vescovo di Roma, secondo S. Ambrogio, deve assomigliare a S. Giuseppe: è sposo della Chiesa, ma la Chiesa non appartiene al vescovo o al Papa.
Tutto ciò è stato anche ricordato dall’amabile Benedetto XVI nell’ultima catechesi quando ha affermato che la “barca” (la Chiesa) non appartiene al papa ma a Cristo. I primi gesti e le prime parole con cui Papa Francesco si è presentato alla Chiesa e al mondo rinviano, in modo chiaro ed inequivocabile, ad una Chiesa che ha bisogno di un profondo rinnovamento e tale rinnovamento non avverrà solo attraverso dei documenti. Il coraggioso gesto di rinuncia di Benedetto XVI ha già dato, nell’elezione di Papa Francesco, il suo primo grande frutto.
Luigi Manca
















