La devozione di Monteroni per “Santu Fili”
L’atto sacrilego compiuto nei primi di settembre al Santuario della Madonna de Santu Fili offende il sentire cristiano e sollecita a riflettere sul vissuto della comunità. Ogni comunità ha la sua storia da raccontare, quella di Monteroni ha una storia antica e vivace. Nel 1699 Monteroni registrò il cambio di guardia nella protezione celeste: San Giorgio cedette il passo a Sant’Antonio di Padova. La spiegazione dell’evento va cercata nel contesto più ampio della controriforma cattolica e in un periodo di profonda crisi da cui si voleva uscire fuori. Il Concilio di Trento dettò alcune norme per riformare i costumi ed elevare culturalmente la comunità introducendo i catechismi per il laicato e i seminari per il clero. L’abate Antonio Rosmini annotava criticamente nel suo libro “Delle cinque piaghe della santa Chiesa: che tanto i catechismi quanto i seminari si dimostrarono mezzi di emergenza impiegati male”. Un arco di tempo quello controriformista segnato da un bassissimo livello culturale, morale e disciplinare del clero e del laicato. Il lavoro spettante al vescovo non era facile ed era pure in ritardo sulla tabella di marcia per cui mons. Luigi Pappacoda prese in pugno la situazione e dichiarò apertamente di aver messo da parte la benevolenza per scegliere l’austeritas contro il diffuso malcostume. In questo contesto storico mi ha incuriosito il culto a “Santu Fili” presente a Monteroni, il cui nome mi sembra riferito più ad un luogo che ad una persona. Ho consultato don Adolfo Putignano che si è occupato del culto della Madonna di Costantinopoli; don Oronzo Mazzotta del clero secolare durante l’episcopato di mons. Luigi Pappacoda 1639-1670, e Gino Giovanni Chirizzi che ha scritto su San Fili a Monteroni, ricordi bizantini, storia, culto, tradizioni popolari, Congedo edit. Galatina 1993.
L’etimologia del nome Santu Fili non mi pare convincente. L’atto più antico che attesta l’ubicazione della chiesetta di Santu Fili risale al 1583 e l’impianto architettonico originale della medesima era a tetto spiovente coperto di canne e tegole, come risulta dal registro delle visite pastorali di mons. Luigi Pappacoda nel 1641; il culto si concentra ancora nel lunedì di Pasqua (lu riu) ed è accentuatamente popolare. L’originale edificio crollò e quello attuale è di recente fattura. Nell’originale chiesa era centrale l’immagine quattrocentesca della Madonna di Costantinopoli ed il giorno della festa continua ad essere il lunedì di Pasqua. Due elementi quest’ultimi che hanno suggerito all’autore del volume “che la primitiva cappella potesse vantare origini bizantine” (p.19). Ricordo che il Salento è bizantino nelle radici fin dall’origine. La polvere dei secoli può aver offuscato l’immagine della chiesa ma non cancellarla. Il rimando al periodo di persecuzione contro le immagini sacre e contro i monaci basiliani viene un po’ enfatizzato infatti all’epoca si era tutti nella stessa barca e si viveva da tutti la stessa tempesta, pregavamo tutti nella stessa lingua. Tutti eravamo Uno. I conflitti tra i cristiani d’oriente e d’occidente sono avvenuti dopo (1054) e si sono formalizzati eminentemente nei vertici degli schieramenti; successivamente le divisioni si sono allargate con lo scisma d’occidente (1378) lacerando ulteriormente il tessuto ecclesiale. Dal popolo umiliato e frantumato partì il grido che invocava la riforma nella chiesa “in capite et membris”. Quel grido giunse nel Concilio di Trento (1545- 1563) e risuonò nel Concilio Vaticano II (1962-1965). Papa Francesco incalza ora tutta la chiesa a recuperare il tempo sprecato. Troppe energie abbiamo sprecato per differenziarci e diffamarci, ora siamo sollecitati ad agire nella reciproca comprensione tra i cristiani accentuando non più le differenze che ci distinguono ma l’unica fede che ci accomuna: “Quelli che uccidono un cristiano, prima di ucciderlo, non gli domandano: ma tu sei luterano, tu sei ortodosso, tu sei evangelico, tu sei battista, tu sei metodista? Tu sei cristiano! E tagliano la testa”. Il sangue dei martiri di oggi ci fa Uno.
Antonio Febbraro
















