La sfida dei tempi moderni… Linguaggi nuovi per Evangelizzare
Nuove tecnologie e strategie comunicative per l’Annuncio.
LA VIA DELLA VERITÀ
GLI STRUMENTI NON SONO SEMPLICE INVOLUCRO MA SOSTANZA DEL MESSAGGIO CHE SALVA
La Chiesa del terzo millennio riconosce una delle sue priorità nella Nuova Evangelizzazione. In questo senso, essa vuole richiamare a se stessa l’impegno di rendere riconoscibile e significativo il messaggio evangelico per l’uomo di oggi. Segno tangibile di questo sforzo è l’attenzione rivolta dai pontefici dei tempi attuali, ai processi di comunicazione mass-mediale (radio, televisione, giornali), all’uso delle tecnologie e della virtualità nella diffusione della parola, all’organizzazione di iniziative e di appuntamenti culturali finalizzati a sensibilizzare i destinatari al messaggio cristiano. Il moltiplicarsi di iniziative e di “luoghi” deputati alla comunicazione della Parola di Dio esige tuttavia una riflessione sulla reale capacità di queste esperienze di toccare cuore e la mente del Popolo di Dio e, più in generale, dell’Uomo contemporaneo. La prima consapevolezza da assumere al rigurado, è che i mezzi di comunicazione non sono un semplice involucro del messaggio; rappresentano, piuttosto, il contesto nel quale esso prende forma e, per tali ragioni, le loro peculiarità incidono in maniera sostanziale sul significato che viene attribuito al contenuto. Questo vuol dire, ad esempio, che lo stesso commento della Parola assume significati diversi a seconda che venga proposto in chiesa, in televisione, su una testata giornalistica o su internet.È anche per questa ragione che i dieci comandamenti commentati da Benigni in televisione vengono “significati” dai destinatari in modo diverso da quando quel commento viene proposto in Chiesa.
I processi comunicativi finalizzati alla divulgazione del Vangelo esigono, allo stesso tempo, un’ulteriore attenzione. La complessità dei tempi moderni pone l’esigenza di un percorso comunicativo che sappia avvicinare la Parola alla specificità delle situazioni che vive ogni uomo. Sul piano comunicativo, questo significa porre in essere processi di comunicazione che sappiano agevolare l’esplorazione del Sé, piuttosto che proporsi come editti incontrovertibili che esprimono un giudizio sul Sé. La comunicazione deve essere in grado di proporre una Parola capace di aiutare l’uomo a farsi domande, prima ancora che fornirgli risposte. Una comunicazione, cioè, che si tenga lontana dal rischio di proporre risposte giuste, e che sia, piuttosto capace di sollecitare nei singoli la ricerca intorno a domande pertinenti. Esempio di comunicazione esemplare (e esemplificativa di quanto appena asserito), è la risposta che Gesù Cristo dà ai detrattori che lo flagellavano. Di fronte a quell’abominio, Egli non proclama i principi universali che rendono deprecabile la violenza, ma si rivolge ai suoi aggressori con una domanda: se ho sbagliato, mostrami dove ho sbagliato; ma se non ho sbagliato, perché mi percuoti? Egli non annuncia una verità, piuttosto propone un atto comunicativo che, senza giudicare (cioè, senza fornire risposte), fa emergere presso i suoi aggressori un bisogno di riflessione (pone domande); un bisogno che, se accolto, può portare ciascuno di essi (e noi con loro) a trovare da soli la via della Verità.
Marco Piccinno
PAROLE DI SPERANZA: ECCO CIÒ CHE L’UOMO DI OGGI SI ATTENDE
UN’IDEA SEMPRE VALIDA: RACCONTARE STORIE VIRTUOSE
Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. È un’esigenza della Chiesa, che ha sempre avuto la missione di diffondere il Verbo, la tradizione. Ma è anche un bisogno di molti cristiani. Ascoltare le parole profonde delle Sacre scritture, in alcuni momenti della vita, può essere un’ancora di salvezza, può essere una medicina salvifica per l’anima, una bussola che guida tra gli affanni, le incertezze, gli stordimenti del quotidiano, tra la superficie che non appaga. Queste áncore evangeliche, però, trovano difficoltà ad essere veicolate tramite i mass media, che invece sempre più spesso indugiano sullo scandalo, sul caso pruriginoso, sulle ombre che si protendono sulla Chiesa come su qualsiasi consesso umano. Gli operatori dell’informazione si concentrano sul particolare scabroso, alla ricerca dell’audience facile, del titolo roboante. Dimenticando le tre parole che dovrebbero sempre guidare l’attività giornalistica: attinenza, continenza, pertinenza.
Tre sostantivi messi nero su bianco nella Sentenza-decalogo della Cassazione, nell’84, e che hanno poi dato vita ai codici deontologici principali della professione. Attinenza, ovvero rispetto della “verità sostanziale dei fatti”. Continenza, ossia la capacità di raccontare con sobrietà, evitando di indugiare in particolari che non aggiungono nulla alla comprensione dei fatti. Pertinenza, ovvero l’interesse effettivo della comunità a conoscere una data notizia. Pilastri deontologici che oggi si sgretolano, travolti dal mare magnum di un’informazione debordante, spesso superficiale, sciatta, inumana. Eppure dagli oratori e dagli altari potrebbero arrivare ai mass media storie intense, vere, profonde. Potrebbero arrivare parole di speranza. Per gli uomini della chiesa e per gli operatori dell’informazione la sfida è dunque quella di riuscire a colmare, anche tramite i nuovi media, l’inesausto bisogno di Vangelo dei cristiani del Terzo Millennio. Magari attraverso la capacità di raccontare storie virtuose ed esemplari, modelli sociali di rete e solidarietà. Di raccontare quel gran lavoro svolto in silenzio da migliaia di sacerdoti italiani ogni giorno, ma che resta nei cuori dei parrocchiani, quando invece dovrebbe travalicare le navate delle chiese e delle canoniche e approdare sulle pagine dei giornali, in tv, sul web. Una narrazione quotidiana del Vangelo che potrebbe ridare speranza ad una società che, nutrendosi solo di cattive notizie, finisce per non credere più in se stessa e nella sua umanità.
Daniela Pastore


















