L’Arcivescovo: Morte in carcere/Quale dignità?
Ogni morte ci addolora e ci rattrista. Ma la fine disperata di un nostro giovane fratello, dopo cinquanta giorni di sciopero della fame nel Carcere Circondariale della nostra Cttà di Lecce, non può vederci assenti, indifferenti, estranei. Una vita che si è condannata all’autodistruzione, forse perché la sua non era più una vita degna di tal nome? Forse perché il suo cercare una soglia di dignità diversa non ha trovato spazio?
Forse perché la sua voce e il suo grido di aiuto erano di indifferente risonanza? La struttura non può non interessarci. Gratitudine e ammirazione per quanti istituzionalmente lavorano in condizioni precarie e sono costretti a vivere la sofferenza di drammi che non sono in grado di risolvere, perché la struttura è inadeguata, perché gli spazi vivibili sono inesistenti, perché le condizioni igieniche sono talvolta intollerabili.
Conosco il loro impegno, la costante attenzione, la sofferenza per risposte che non possono dare stretti come sono nei magli di norme e con il muro del sovraffollamento, che mortifica e degrada, punisce ma spesso non redime, creando proteste che arrivano anche al rifiuto della vita.
+ Domenico D’Ambrosio















