Le Chiese leccesi intitolate all’Immacolata
Una questione storica. Quale dedicazione è quella vera?
Nella nostra Città c’è una sola Arciconfraternita dedicata all’Immacolata, quella che officia a S. Maria della Grazia, a piazza S. Oronzo. Ma c’è un’altra Chiesa, quella che molti di noi non sanno, ed è quella dirimpettaia, dedicata anche a S. Antonio, che fino all’inizio del secolo scorso è conosciuta come la Chiesa di San Giuseppe. La nuova vera denominazione è stata scoperata solo 11 anni or sono, nei restauri generali di essa, quando si riuscì a scoprire dopo tre secoli l’antico portale cinquecentesco abbattendo parte del muro laterale. E su questo portale si leggeva la scritta “Deiparae divo quoque Antonio Patavino”. Portale che tutti i Sovraintendenti alle Belle Arti (prima di Puglia e poi del Salento) stimavano e ancor stimano il più bello e il più antico della nostra Città. Il cennato muro era stato eretto nella prima metà del ‘700 in seguito al compiersi dei 5 secoli dalla morte del taumaturgo di Padova (1231) e si sentì il bisogno di costruire un secondo portale, piccolo ma bello, a fianco a quello storico costruito dall’erezione del magnifico grande Altare antoniano, vero esemplare dell’ultimo barocco di casa nostra. Che la deipara fosse l’Immacolta lo dicono due indiscutibili documenti del tempo. Il primo del 1824 del Comune (ratificato poco dopo dal Sovrano Borbonico) che imponeva al nostro Sindaco di offrire personalmente tre doni di ceri l’8 dicembre, il 19 marzo e il 13 giugno.
Il secondo risale ai primi degli anni ‘70 del ventunesimo secolo, quando l’Altare maggiore del tempio fu rimosso per nuove esigenze liturgiche postconciliari. Fu allora che si rinvenne una pergamena dedicatoria alla Vergine senza macchia. Anche la “macchina” dell’Altare, già demolita nel secolo innanzi per la donazione di un “presbiterio” marmoreo scolpito dal celebre Eugenio Maccagnani (quello dell’Altare della Patria) e che ora elegantemente diviso in pezzi adorna il chiostro del Seminario antico ed ora, anche la Curia, in piazza Duomo. Sta difatto che l’indimenticabile vescovo Costa, venuto di fresco tra noi, dedicò la Chiesa il 17 maggio del ‘31 con la consacrazione liturgica, ignorando “necessariamente” la Chiesa al solo Santo patavino e i cennati tre seceoli di occultamento. Quale delle due dedicazioni ora è la vera? I romani avrebbero detto “videant consulis”; ma nel nostro caso il console è uno solo: mons. Arcivescovo. Una cosa è certa, che di Chiesa dell’Immacolata ce n’è una sola dedicata nel ‘31! “Coronidis loco” ricordiamo i Riti solenni dell’8 dicembre: una novena preparatoria con l’intervento di celebri oratori, tra cui l’agostiniano padre Volpini, schedato dovunque in materia, e presieduta da un canonico “mitriato” del Duomo. La processione del ‘7: 4 ore di percorso tra le 13 e le 17, che si spingeva fino alla “gramigna” di fondone Fulgenzio, ora piazza Mazzini. Ed in fine gli immancabili carabinieri in alta uniforma e che davano decoro al pontificato del Vescovo dell’8 dicembre.
Oronzo De Simone