Pubblicato in: Sab, Mar 8th, 2014

Memorie di un Reduce/L’annuncio di Badoglio e le crisi di coscienza

Dall’8 settembre 1943 al 28 novembre 1944.

La notizia dell’Armistizio arrivò alle truppe italiane, per caso, grazie alla bravura del marconista e suscitò rapide esplosioni di gioia per la con­vinzione dell’imminente fine della guerra e di conseguenza del ritorno a casa. Ciò non si verificò! “L’ignominioso armi­stizio” ovvero la vergognosa capitolazione, comportò gravi crisi coscienziali negli ufficiali e nei soldati.

Pippi Pennetta

I militari italiani certamente non nutrivano nei confronti dei colleghi tede­schi sentimenti amorevoli ma risultava loro incomprensibile trovarsi dalla sera alla mattina nemici degli amici; oltretut­to la mancanza assoluta di direttive da parte del governo e conseguentemente da parte degli ufficiali ponevano le truppe italiane alla mercé dei tedeschi. A Rodi, luogo in cui prestava servizio il reduce monteronese Pippi Pennetta, la reazione dei tedeschi non si fece attendere e, già a sera tardi, narra l’autore del diario, “non lontano da noi si spar­geva il primo sangue della lotta contro i soldati tedeschi che miravano all’occupazione dell’isola”.

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“Nell’aria era un silenzio cupo grave, solo giungeva sommesso il pispi­glio confuso dell’accampamento, dove i miei compagni d’armi in cento crocchi discutevano sullo stesso argomento e facendo le mie stesse consi­derazioni. Tutto il paesaggio attorno mi sembrava vestito a lutto e tristi presentimenti mi turbinavano nella mente. Improvvisamente grida incomposte si levarono da tutto l’accampamento, mentre si vedeva un accorrere disordinato da tutte le parti. Accorremmo anche noi, e con una stretta al cuore, ci ammassammo con gli altri vicino alla tenda del marconista il quale aveva captato il proclama del maresciallo Badoglio annunziante l’armistizio. La notizia si diffuse in un baleno attraverso tutto l’accampamento e, da ogni parte, si levarono grida incomposte ed improvvisa sparatoria. Era la mani­festazione incomposta ed incontrollata che spon­tanea usciva da moltissimi petti. A poco a poco però la sparatoria cessava e l’espansività dava posto all’amarezza ed alla riflessione.

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Terminata che fu la sparatoria, ritornò sull’accampamento a gravare il silenzio di prima, ora reso più grave dall’amarezza intima. Intanto molti adesso con il volto marcato dai primi segni del dolore, volge­vano lo sguardo verso la pianura dove attraverso gli alberi si scorgevano le sagome caratteristiche delle tende di un accampamento tedesco. Cosa pensavano questi? Mille supposizioni si faceva­no. Io come moltissimi altri ero assorto in simili considerazioni. Improvvisamente mi distolse un suono di tromba. Era il trombettiere del reparto che suonava l’allarme. Ci radunammo subito a sentire la parola del comandante che, dall’alto di un sasso rivolse a tutti parole di rimprovero e biasimo per l’incomposta manifestazione mentre ci invitava invece alla massima prudenza e pronti a qualunque decisione perché si doveva essere ben certi che i tedeschi avrebbero reagito e conti­nuata la loro guerra.

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Ci invitò a pensare alle tristi condizioni che il governo d’Italia aveva dovuto accettare, alla nostra Patria, alle nostre famiglie e ci esortò a tenerci pronti ad ogni suo ordine se volevamo ancora difendere l’onore della Patria e volevamo sperare di rivedere le nostre famiglie. Le parole del comandante avevano persuaso i più e, terminata l’arringa, ritornammo in silenzio alle tende, quasi vergognandoci della manifestazione di prima. Intanto l’accampamento tedesco si era destato, giungevano distinti e sempre più nume­rosi i rumori delle camionette, camion e di tutti gli automezzi, segno evidente che i tedeschi avevano già preso una decisione. Verso le ore 23 risuonò la tromba d’allarme e noi, secondo le istruzioni rice­vute, accorremmo armati ed equipaggiati all’adu­nata e, ricevuti ordini, ci disponevamo in posizio­ne difensiva. Non si ebbe però alcun segnale di fuoco, ma giungevano distinti i tuoni delle can­nonate. Non lontano da noi si spargeva il primo sangue della lotta contro i tedeschi che miravano all’occupazione dell’isola.

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L’alba del 9 ci trovò tutti svegli sulle nostre posizioni difensive e sempre pronti con le armi in pugno. Un fonogramma dal comando di divisione avvisava il reparto carristi di tenersi pronti a muovere ad un nuovo ordine verso l’Aereoporto di Marizza occupato con un colpo di mano dai tedeschi. Ci tennero pronti ma nessun ordine pervenne al nostro comando che verso le 17 decise di ritirarsi nel presidio di Psito. Intanto, come apprendemmo presso il comando di divisione, i tedeschi presentatisi con i carri armati e mandato innanzi un messo per far spostare dal suo ufficio il generale Scaroina, comandante la di­visione, avevano tagliato tutte le comunicazioni e fatto prigioniero il generale stesso che fu costretto a far cessare il fuoco al presidio di Campochiaro, caposaldo difensivo del comando di divisione”. 

Servizio a cura di Salvatore Tornese

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