Prima i bambini/E se ce lo raccontasse lui?
Come un tessuto al telaio, il racconto del bambino ha sempre una trama ed un ordito. Nell’ordito riporta e richiama brandelli di vita, spezzoni di esistenza concreta, volti e personaggi d’ogni giorno. E però lungo questo ordito, il racconto fa scorrere, su e giù, racchiuse nell’astuccio della fantasia, le tracce di un sogno, le orme della memoria, i semi del desiderio. Realtà e fantasia si combinano insieme, si accostano e si allontanano, a volte si mescolano, in un gioco complesso e variopinto… che permette al bambino di capire qual è il suo posto, la sua condizione, il suo angolino privato, all’interno delle vicende degli uomini, nel mezzo della storia nel mondo. I racconti più belli prendono le mosse dall’esperienza diretta del bambino, da quello che egli ha fatto e da ciò che lo ha coinvolto lungo le ore del giorno, perché quando si rievoca l’esperienza, diventa più facile l’ancoraggio al dato di fatto e più naturale il richiamo del desiderio, non ancora del tutto sopito. Anche per raccontare il Presepe conviene partire dall’esperienza diretta: il Presepe appena costruito o il Presepe vivente appena attraversato o anche soltanto il Presepe che il papà ha realizzato con un aiuto di tutti i componenti della famiglia. La prima cosa che conta è quel che ha fatto il bambino, il suo lavoretto, i pupazzi che ha collocato fra le pieghe della cartapesta. Per un momento resterà sullo sfondo persino la storia di Maria e di Giuseppe. Interessa molto di più la luce della cometa che qualcuno ha voluto collocare in alto, perché potesse essere vista da tutti, anche dal pastore rientrato nella sua capanna dopo una giornata all’aperto, anche dal ciabattino, che abbiamo collocato dietro quella palma, che di giorno protegge dal sole e di notte ripara dall’umido, anche dai Magi che si scorgono in cima alle colline.
Sì, il racconto del Presepe deve poter essere la storia delle figure che il bambino ha collocato al loro posto, la narrazione di quella stalla dove non c’è il termosifone, ma un bue ed un asinello, la descrizione di quel che c’è voluto per sistemare i pastori e le loro pecorelle. E poi anche il sogno che accompagna tutti questi piccoli gesti, le immagini che si scorgono soltanto se si ascolta in silenzio e si socchiudono gli occhi, per consentire al bambino di ritrovarsi in prima fila, accanto a Maria e a Giuseppe, sconvolto ed avvolto da questo evento unico e straordinario: un Dio che sceglie di farsi uomo, piccolo fra i piccoli della terra. E poi ci sono le domande, con le quali il racconto si ripiega su stesso, forse per ricominciare, sicuramente per aprire spazi di riflessione. Chi sono gli uomini di buona volontà? Perché ci viene dato un annuncio di pace? Perché i pastori si avvicinano alla grotta e si mettono in ginocchio? E si può pensare persino alla piccola sorpresa che il bambino farà ai grandi: non un regalo e nemmeno una poesia da mandare a memoria, ma un racconto, una narrazione, scelta dal bambino fra le tante con le quali si è misurato negli ultimi giorni. Un racconto affidato proprio a lui e da lui gestito in libertà e in piena autonomia. E con una buona dose di imprevedibilità. Potranno venir fuori poche parole, forse semplici e persino strampalate, ma saranno pur sempre – ed è sicuro – parole che vanno diritte al cuore degli adulti. Sarà un modo, forse insolito, per dirsi Buon Natale. Auguri!
Nicola Paparella
















