Pubblicato in: Ven, Lug 10th, 2015

Primati Inconsueti/Parti Cesarei… La Puglia al terzo posto

Prima la Campania, seconda la Sicilia, segue la Basilicata ex aequo con la nostra Regione. 

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La Soluzione Chirurgica/Coinvolte la Cultura, la Geografia, la Logistica, l’Etica, la Medicina e la Professionalità.

DALLA CIVILTÀ DEL TRAVAGLIO ALLA CIVILTÀ INDOLORE

La Puglia al terzo posto, insie­me con la Basilicata, tra le re­gioni con più alta percentuale di ricorso al parto cesareo. Quali le cause? In realtà, già a partire dal 2000, si è cominciato ad avvertire in Italia l’ec­cessivo aumento dei dati statistici, quasi a voler considerare il nuovo millennio come una sorta di staffetta epocale tra la “civiltà del travaglio” e la “civiltà indolore”. Effettivamente, il “fenomeno” richie­de un’analisi trasversale, in quanto la molteplicità dei fattori, che si inter­secano con un iter a volte convulso e “disordinato”, ne causano la regi­strazione in ambiti differenziati, che includono la cultura e la civiltà, la ge­ografia e la logistica, l’etica e la mora­le, la medicina e la professionalità. Partendo dal dato culturale e os­servandone il riscontro statistico, il crescendo della frequenza di tale “so­luzione chirurgica” interessa in par­ticolare alcune regioni del Sud, tra le quali la Campania (dato 2000 pari al 53%), la Sicilia (42,5%), la Basilicata (40,8%), la Puglia (40,6%). Questo potrebbe essere determinato anche (e qui già assistiamo ad un primo incrociarsi del piano culturale e civile con il fattore medico) dalla relazione tra paziente e personale sanitario, e di conseguenza dalla pre­parazione e/o informazione completa, parziale, assente, mirata, che, nelle strutture anche private, può essere for­nita di volta in volta. Il richiamo alla componente geografica e logistica, invece, che probabilmente viene ad in­tersecare la deontologia e la professio­nalità, fa riflettere su scelte concrete, nell’ottica della razionalità e dell’op­portunità, che da tempo hanno operato regioni quali il Friuli, con ricorso al parto cesareo pari al 20%, valore al quale, se si omologassero tutte le re­gioni italiane, consentirebbe una ri­duzione di 35.000 cesarei l’anno.

cesarei

Un simile parametro di riferimento non può considerarsi opzionale, in quanto già stabilito dal Decreto Ministeriale del 12 dicembre 2001 (15-20%), una volta introdotto tra gli indicatori se­gnalati nel “Sistema di garanzie per il monitoraggio dell’assistenza sanita­ria”. Il livello più delicato appare, da ultimo, la posizione etica. Da tempo si lavora su questo versante, nel ten­tativo di riportare la dimensione della “sanità” alla qualità del “giuramento di Ippocrate”, aggiornato al 23 mar­zo 2007, che al nono punto recita: “(Giuro) di affidare la mia reputazio­ne professionale esclusivamente alla mia competenza e alle mie doti mora­li”. Ovviamente, il problema è carat­terizzato dalla complementarità tra la “parte medica” e la “parte paziente”, non solo, i punti di osservazione, e quindi i giudizi morali, hanno subìto non poche graduali metamorfosi nel corso degli anni, sicchè il 21 febbraio dello scorso anno l’assessore al Wel­fare, Elena Gentile, comunicava che la commissione nazionale Lea (livelli essenziali di assistenza) introduceva la Puglia nell’elenco delle regioni italiane che “beneficiano” del diritto al parto indolore, considerato dal governo regionale una vera e propria “battaglia di civiltà” da perseguire te­nacemente. Per contro, occorre citare in conclusione, coerentemente con quanto enunciato sopra a proposito della “mescolanza” delle opinioni in merito, una dichiarazione dell’Orga­nizzazione Mondiale della Sanità pre­sente tra i punti di una petizione pro parto naturale alla Regione Puglia: “la donna deve avere la possibilità di partorire in un luogo che sente sicuro, al livello più periferico in cui sia pos­sibile fornire assistenza appropriata e sicurezza”.

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