Pubblicato in: Gio, Set 10th, 2015

Salesiane dei Sacri Cuori/La Missione continua sulle orme di San Filippo

A colloquio con la nuova Madre Generale appena eletta dal ventesimo Capitolo Ordinario. Il modello educativo per eccellenza è quello che rende la persona stessa protagonista del suo sviluppo“Una società si misura sul rispetto dei più deboli”.

Suor Ines

Madre Ines nel farle i nostri più sentiti au­guri per la recente nomina a Superiora Generale, le chiedia­mo quali speranze e progetti ha per questo nuovo incarico?

Il Signore mi ha scelta a guidare que­sta meravigliosa famiglia, nata dal cuore del nostro Padre San Filippo Smaldone, di cui quest’anno ricorre il X anniversario della canonizzazio­ne (2006 – 2016). Sono gli scherzi che solo Lui sa fare perché non opera con la logica matematica ed efficien­tistica, ma solo perché si manifesti la Sua potenza nella fragilità dello stru­mento umano. “Abbiamo un tesoro in vasi di creta” (2 Cor,4,7). Con questi sentimenti mi accingo a vivere la nuo­va e delicata esperienza di amore a Cristo e ad essere vicina alle sorelle e alla famiglia laicale smaldoniana, per compiere insieme il “pellegrinag­gio religioso” di ricerca del cammino di santità a cui tutti, consacrati e laici cristiani, siamo chiamati. Ho sentito il caloroso sostegno spirituale, l’affetto e l’incoraggiamento delle mie consorel­le e di quanti mi sono stati vicino. In cordata di cuori con il nuovo Consi­glio, faremo l’esperienza di uno stile di governo all’insegna della comunione e della semplicità. Per questo sento di arrivare al cuore delle sorelle in pun­ta di piedi, nel silenzio di chi ha molto da scoprire, di pormi in atteggiamento empatico e religioso perché ognuno è mistero di Dio e fonte di tanti doni. Il Signore ci ama, non fa mancare la Sua grazia a chi la chiede con fiducia e abbandono in Lui. Nell’impegno di fedeltà ai doveri quotidiani fioriremo là dove il Signore ci ha posti, in comu­nità, in famiglia o sul posto di lavoro.

All’inizio della sua missione di alta responsabilità per la sua comuni­tà religiosa, quali intenzioni vuole affidare ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria?

La spiritualità dei Sacri Cuori è un elemento costitutivo della nostra spiri­tualità. Leggiamo nel testo delle Costi­tuzioni: “L’ispirazione originaria del Fondatore e il nome che ha dato alla Congregazione “Suore Salesiane dei Sacri Cuori” definiscono la nostra spi­ritualità e la via concreta in cui ciascu­na sorella deve vivere la sua vocazione contemplativa apostolica (art. 5) La Salesiana, dal Cuore di Cristo e della sua madre Maria …. attinge le virtù caratteristiche della carità, della dolcezza, della pazienza e dell’umiltà” (art. 6) Essendo nostri Patroni e protettori, in­tendo ad essi affidare il progetto dell’I­stituto che corrisponde al sogno di Dio:”tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17, 21). Il sogno dell’unità di una famiglia che ricerca insieme la verità, la bellezza, l’amore di Dio da vivere ogni giorno nel generoso servizio ai fratelli, specie alle categorie più de­boli ed escluse. Che niente e nessuna deve anteporsi all’amore di Cristo di­venuto corpo nelle membra di una Ma­dre purissima.

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La Congregazione, ormai diffusa nei diversi continenti, ha realizza­to un’impegnativa riflessione co­munitaria nel Capitolo Generale dello scorso mese, ci può riferire qualcuna della più importanti con­siderazioni emerse?

Un Capitolo Generale è sempre un evento pentecostale che sospinge verso orizzonti più ampi della storia persona­le e comunitaria di un Istituto religioso. Il “duc in altum” c’impegna ad intra­prendere un cammino più deciso nel campo missionario, dove la “missio ad gentes”, del secolo scorso è divenuta stato di permanente missione della per­sona. Si vive la missionarietà accanto al fratello, ad un popolo, ad una Chie­sa particolare. Noi Salesiane dei Sacri Cuori, in un Capitolo in cui le diverse Delegate hanno con grande passione espresso la grande ansia presente nelle giovani generazioni e le sfide che ogni giorno le interpella, abbiamo conside­rato l’urgenza di approfondire la nostra formazione missionaria e di ampliare gli spazi anche in altri Stati, in Cina e Vietnam. Allo stato attuale operiamo in Europa: Italia e Polonia. In Africa: in Rwanda, Benon e Tanzania, In America Latina: in Brasile negli Stati di: Pouso Alegre, Parà, Amazonia, Cearà, Go­ias, Minas Gerais, Dstretto federale e in Paraguay. In Asia nello Stato delle Filippine e dell’Indonesia. Lo slancio missionario, che il nostro Istituto sta vivendo dal 1972 e in modo particolare negli anni post canoniz­zazione del Padre, viene avvertito in modo crescente nell’Istituto. Non ci nascondiamo le difficoltà che speri­mentiamo nel continente europeo a motivo delle sfide che emergono da contesti attraversati dalla violenza, dal calo di vocazioni e dall’innalzamento del livello medio di età delle sorelle. Ma queste difficoltà non spengono la speranza perché essa non è fondata su ragioni umane, ma sulla fecondità del­lo Spirito e molti segni di fecondità e di vitalità carismatica s’intravvedono come una luce sul nostro cammino.

Il XX Capitolo Generale Ordinario, che ha anche portato alla sua ele­zione, quali altri semi spirituali ha gettato nel mondo della religiosità smaldoniana e non solo, nella ri­cerca di attualizzare il carisma e la missione delle Suore salesiane?

È stato un Capitolo che ha riflettuto molto sulla relazione tra carisma – mis­sione ed opere, talvolta identificate e confuse. Infatti nel passato, commet­tendo un errore di valutazione storica, si è identificato carisma con missione e missione con opere. Abbiamo preso coscienza che il carisma coincide con la spiritualità del Padre Fondatore e del dono ricevuto (carisma del Fonda­tore) e delle prime sorelle che lo han­no seguito (carisma di fondazione); è il dono che lo Spirito di Dio ha fatto alla Chiesa per il bene comune, e che l’Istituto religioso è tenuto a custodi­re, tramandare e vivere. Esso coinci­de, nel nostro caso, con la spiritualità dell’Effatà, parola del Vangelo in cui è racchiusa l’ansia di Gesù di aprire il cuore, la lingua e l’orecchio del muto e del sordo al fine di lodare, celebrare e gioire con i fratelli di fede le mera­viglie del Signore. “Egli passò bene­ficando tutti; diede l’udito al sordo e la lingua al muto”. Ridurre il carisma all’opera di evangelizzazione della persona sorda attraverso l’istruzione e l’educazione è quanto mai riduttivo. Questa riflessione ci ha portato ad al­largare, come lo è stato sin dai tempi del Padre Fondatore, il campo della missione dai disabili dell’udito ai po­veri, agli esclusi dalla società, a quei soggetti che per le condizioni di vita si collocano nelle periferie esistenziali. Se il carisma è l’anima, la missione è il campo apostolico in cui la semina­gione della Parola si realizza e si iden­tifica con le opere che sono soggette a ridimensionamenti, a cambiamenti, a chiusure. La riflessione sul carisma di fondazione, del Fondatore, delle prime discepole di San Filippo Smaldone e lo studio del campo apostolico vasto sin dagli inizi della vita dell’istituto reli­gioso ha condotto la Congregazione a non chiudersi nel campo della “sordi­tà” fisica, ma ad allargare lo sguardo e il cuore a tutte le forme di sordità pre­senti nell’attuale società. “Nei sordomuti Smaldone vedeva Gesù e più volte ripeteva che, come ci si in­ginocchia davanti al Santissimo, così bisogna inginocchiarsi davanti a un sordo”.

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Nelle vostre scuole le classi comu­ni prevedono la compresenza dei bambini sordomuti e dei ragazzi normodotati. In che misura è profi­cuo per entrambi, a livello umano, questo scambio reciproco tra il si­lenzio in cui vivono i ragazzi spe­ciali e il caos assordante dei loro compagni?

L’integrazione o inclusione scolastica, propedeutica a quella sociale-lavora­tiva, non è solo un principio pedago­gico ma scaturisce dal rispetto della persona che, pur nella diversità, deve essere posta nelle condizioni di matu­rare una consapevolezza di responsabi­lità di vita e di scelta, Gli strumenti di comunicazione e di relazione possono essere alternativi, ma la considera­zione dell’altro deve essere altamente formativa al fine di superare, con la conoscenza e la relazione, i pregiudizi che spesso costituiscono un peso per chi è colpito. Nelle scuole smaldonia­ne, caratterizzate da un’integrazio­ne tra sordi e udenti, si è superato il concetto di “diverso” come “soggetto di serie B”, e si respira l’aria di una reale integrazione in quanto si privile­giano canali diversi di comunicazione o canali “multipli” al fine di facilita­re e veicolare contenuti e messaggi a tutti, indistintamente. La conoscenza, la capacità di entrare in relazione e di comprendersi rende il processo scola­stico formativo per entrambi, in quanto gli uni – udenti, si arricchiscono della conoscenza dei coetanei sordi e questi trovano nella scuola uno spazio vitale di espressione, di comunicazione e di relazione.

Come ritiene sia opportuno che cambi l’istruzione attuale dei bam­bini ai fini della una formazione di adulti consapevoli e cittadini rispettosi dell’ambiente in cui vi­vono?

Il modello educativo per eccellenza è quello che rende la persona protago­nista del suo sviluppo; pertanto solo il processo attivo, collaborativo ed empatico nella scoperta del mondo e della società lo rende capace di legge­re la sua storia, quella del suo tempo e degli eventi con un’ottica di personale riflessione e di libera adesione. Questo modello è da realizzare sempre, specie in tempi in cui i valori hanno perduto il carattere assoluto e acquistato quello di relativo ai bisogni del singolo e delle situazioni. Insomma la cultura di oggi, oltre ad essere la cultura della sogget­tività dei valori, è anche quella della negazione del valore, in nome di un re­lativismo teorico e pratico. E noi adul­ti dovremmo sentire il peso morale di aver costruito tale modello di società e di “cultura” per le nuove generazioni.

Qual è l’aspetto della spiritualità smaldoniana e l’insegnamento di San Filippo che la società civile dovrebbe far proprio per attuare una migliore e più integra crescita spirituale?

Una società si misura sul rispetto delle frange più deboli: bambini e anziani. San Filippo ha considerato tali condi­zioni e stati di vita come prioritari e ad essi ha prestato particolare attenzione. Al suo tempo erano i sordi, i ciechi, i poveri in genere, quelli che nel cuore di Cristo hanno un posto privilegiato. La società di oggi, caratterizzata da una corsa sfrenata verso il raggiungimento del benessere materiale, che la cultu­ra consumistica ha prodotto, trascu­ra ed esclude quanti non riescono ad avere lo stesso passo e costruisce una civiltà senza amore, una società non a dimensione di uomo, dove le relazioni diventano sempre più fredde e liquide e il calcolo prevale sul sentimento. Un pensiero del nostro Santo ci può aiuta­re alla riflessione: “Ogni povero deve trovare sicura rispondenza nel nostro cuore perché è Cristo che ha bisogno della nostra carità”. 

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