Pubblicato in: Ven, Giu 21st, 2013

San Pietro in Lama/“La Consegna delle Chiavi” torna al suo posto

Restaurato il dipinto sopravvissuto al terremoto del 1743 collocato nel transetto destro della Matrice.

Il prossimo 29 giugno verrà restituito alla comunità di San Pietro in Lama il dipinto restaurato de “La consegna delle chiavi a S. Pietro apostolo”. Continua così il programma di restauro del patrimonio mobile artistico della chiesa matrice di San Pietro in Lama, in­trapreso dal parroco don Domenico Fiore e pro­seguito dal suo successore don Michele Gian­none, a cura della d.ssa Benedetta Pandiello esperta in restauri lignei e pittorici.

Dopo il restauro dei beni statuari che versavano in avanzato stato di degrado – ricordiamo la sta­tua vestita della Madonna Immacolata (2007), i due monumentali candelieri lignei (2008), la ma­estosa statua si San Francesco da Paola (2009) ed il Crocifisso ligneo del sec. XVI – si è passati al recupero del dipinto seicentesco de “La conse­gna delle chiavi a S. Pietro apostolo”, collocato sulla parete grande del transetto destro, incor­niciato da un grandioso e pregevole altare tardo settecentesco decorato con motivi a stucco. L’o­pera è giunta miracolosamente ai nostri giorni, unica superstite del terremoto del febbraio 1743, evento catastrofico che fece crollare la cappella di San Pietro apostolo dove originariamente era collocata.

Questa cappella risaliva almeno al sec. XVI, data presumibile visto che non vi sono docu­mentazioni della pianta urbanistica del territorio tra San Pietro in Lama e Lequile anteriori al 1626. Nella prima visita pastorale del Vescovo di Lecce Scipione Spina (1591-1639), avvenuta nel 1627, viene citata la cappella di San Pietro, che risultava già in stato di degrado visto che venivano impartite regole per la manutenzione del tetto. È proprio durante questo episcopato che venne commissionato dallo stesso Presule il quadro de “La consegna delle chiavi a S. Pietro apostolo”, come si può desumere dalla presenza in basso del suo stemma.

Nel 1670 il Vescovo Luigi Pappacoda riedificò la cappella, ubicata presumibilmente nelle vicinanze del pozzo che secondo la tradizione fu sosta del Santo nel suo percorso da Leuca a Roma, nel fondo Messere. Essa misurava metri 18×13, una dimensione ri­levante se paragonata a quella della chiesa della Croce. Si può ipotizzare che il suo impianto pla­nimetrico fosse simile a quello delle chiese della Croce e della Madonna del Pisello e si sviluppa­va secondo il collaudato impianto a capanna con un’unica navata coperta con sistema a capriata da cannucciato, bolo e imbreci. Quasi certamen­te questo sistema costruttivo privo di contrafforti ne causò il crollo in seguito al terremoto del 1743 dal quale, come già detto, si salvò soltanto la tela in questione traslata nella parrocchia. Il dipinto esalta la figura del santo protettore ed è perciò molto venerata all’interno della comunità.

DSCF

L’apostolo Pietro è al centro del programma ico­nografico: la consegna delle chiavi del Paradiso simboleggia la funzione di mediazione tra Dio e l’uomo che Cristo affida a Pietro e ai suoi suc­cessori, i pontefici, mettendoli a capo della Chie­sa. Si tratta di un dipinto caratterizzato da un attento studio dell’anatomia e delle proporzioni, con un risultato all’insegna dell’essenziale, che esalta la dignità sublime e l’armonia dell’opera, attribuita ad artista ignoto.

L’intervento durato diversi mesi, finanziato dalla Parrocchia, sotto la costante visione della d.ssa Antonella Di Marzo e della d.ssa Maria Pia Zambrini funzionari della Sovrintendenza P.S.A.E. della Regione Puglia, è avvenuto usan­do la tecnica del restauro introdotta da Cesare Brandi, mirata cioè al ritrovamento dello stato originario dell’opera d’arte senza commettere un falso storico-artistico, dove l’integrazione dev’essere sempre riconoscibile da vicino e invi­sibile a distanza e qualsiasi intervento fatto deve facilitare gli interventi successivi.

Il restauro non va inteso solo come un intervento strutturale sugli edifici, ma anche come un inter­vento mirato a preservare un patrimonio come quello mobile artistico, ugualmente importante, figlio di una comunità che con esso cerca di identificarsi per trasmettere ai posteri cultura e arte esistente in un particolare lasso di tempo, processo che non avviene con tale facilità nel mondo architettonico.

È grazie alla sensibilità di persone come i parro­ci di questa comunità che si può preservare un patrimonio artistico ecclesiastico così pregevole, fonte di ricchezza storico-culturale, che i nostri padri ci hanno donato e sta alla nostra consape­volezza ricevere un tale dono e preservarlo per farlo giungere nelle migliori condizioni alle futu­re generazioni.

Pierluigi Martino

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