Una tela per il Giovedì Santo
Iniziativa di collaborazione tra Parrocchia e Scuola.
L’arte, come molte altre manifestazioni della creatività, fa uso di un linguaggio universale, facilmente comprensibile da tutti: il linguaggio dell’emozione. Ed è questo il linguaggio che i giovani di oggi devono apprendere ed abituarsi ad impiegare. È anche con questa finalità che il parroco di San Filippo Smaldone di Lecce, don Giovanni Serio, ha pensato di affidare agli studenti del liceo artistico leccese Ciardo-Pellegrino il compito di realizzare una tela per l’altare della reposizione per il Giovedì Santo. Si tratta del frutto di una collaborazione tra la parrocchia e la scuola superiore già rodata e ben consolidata da tempo.
Quattro studenti, sotto la guida del prof. M. Marangio e con la collaborazione della prof.ssa I. Cipressa, hanno dato vita, in una settimana, ad una tela dipinta ad olio di 2 metri per 1,5 metri: L. Sparascio di Tricase, G. Nestola di Copertino, P. Calcagnile di Veglie e M. Gianturco di Galatina. Partendo dal tema e dagli spunti offerti da don Giovanni, essi hanno elaborato la fase dell’interpretazione, come ha spiegato il prof. Marangio durante la consegna della tela: “è stato complesso e propedeutico lo studio della composizione anatomica delle mani, protese verso il divino e verso il pane, il nucleo principale del dipinto in quanto simbolo, a più livelli, senza cui l’umanità è persa e non può sopravvivere”. Le mani raffigurate si elevano dalla città di Lecce, come si evince anche dalla presenza, nella parte inferiore del dipinto, di piazza Sant’Oronzo.
La Preside della Scuola, T. Rucco, si è detta colpita dai volti senza tempo, e in particolare dall’ultimo collocato nell’angolo destro della tela, il quale rappresenta l’ipocrisia di chi si mostra addolorato per la situazione ma, con lo sguardo rivolto verso il basso, è palesemente assorto in tutt’altri pensieri.
La sovrapposizione delle figure, che tendono a confondersi tra loro, costituisce un primo passo verso l’astrazione, e tra queste figure spicca sulla destra il Cristo dei nostri giorni, incoronato di spine e al contempo contrariato per ciò che vede intorno a sé. “Emerge subito, guardandolo, una divinità che è nell’umano – afferma il parroco – Queste mani, nella loro diversità, mostrano i molteplici approcci alla chiamata di Dio: ci sono le mani ferite e fasciate, quelle aperte di chi dona e al contempo è pronto a ricevere, e quelle chiuse di chi ancora non sa o non vuole incontrare Dio”.
Grazia Pia Licheri

















