Pubblicato in: Gio, Apr 17th, 2014

Una tela per il Giovedì Santo

Iniziativa di collaborazione tra Parrocchia e Scuola. 

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L’arte, come molte altre manife­stazioni della creatività, fa uso di un linguaggio universale, facilmente comprensibile da tutti: il linguaggio dell’emozione. Ed è questo il linguaggio che i giovani di oggi devono apprendere ed abituarsi ad impiegare. È anche con questa finalità che il parroco di San Filippo Smaldone di Lecce, don Giovanni Serio, ha pensato di affidare agli studenti del liceo artistico leccese Ciardo-Pellegrino il compito di realizzare una tela per l’altare della reposizione per il Giovedì Santo. Si tratta del frutto di una collaborazione tra la parrocchia e la scuola superiore già rodata e ben consolidata da tempo.

Quattro studenti, sotto la guida del prof. M. Marangio e con la collaborazione della prof.ssa I. Cipressa, hanno dato vita, in una settimana, ad una tela dipinta ad olio di 2 metri per 1,5 metri: L. Sparascio di Tricase, G. Nestola di Copertino, P. Calcagnile di Ve­glie e M. Gianturco di Galatina. Partendo dal tema e dagli spunti offerti da don Giovanni, essi hanno elaborato la fase dell’interpretazio­ne, come ha spiegato il prof. Marangio durante la consegna della tela: “è stato complesso e propedeutico lo studio della composizione anatomica delle mani, protese verso il divino e verso il pane, il nucleo principale del dipinto in quanto simbolo, a più livelli, senza cui l’umanità è persa e non può sopravvivere”. Le mani raffigurate si elevano dalla città di Lecce, come si evince anche dalla presenza, nella par­te inferiore del dipinto, di piazza Sant’Oronzo.

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La Preside della Scuola, T. Rucco, si è detta colpita dai volti senza tempo, e in particolare dall’ultimo collocato nell’angolo destro della tela, il quale rappresenta l’ipocrisia di chi si mostra addolorato per la situazione ma, con lo sguardo rivolto verso il basso, è palesemente assorto in tutt’altri pensieri.

La sovrapposizio­ne delle figure, che tendono a confondersi tra loro, costituisce un primo passo verso l’astra­zione, e tra queste figure spicca sulla destra il Cristo dei nostri giorni, incoronato di spine e al contempo contrariato per ciò che vede intorno a sé. “Emerge subito, guardandolo, una divinità che è nell’umano – afferma il parroco – Queste mani, nella loro diversità, mostrano i molteplici approcci alla chiamata di Dio: ci sono le mani ferite e fasciate, quelle aperte di chi dona e al contempo è pronto a ricevere, e quelle chiuse di chi ancora non sa o non vuole incontrare Dio”.

Grazia Pia Licheri

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