Pubblicato in: Ven, Ott 9th, 2015

Alessio, 830 km fino a Santiago de Compostela

È stato davvero molto ar­duo?

Non solo! Oltre ai dolori fi­sici che pure non sono mancati si aggiunge la solitudine. Si ri­schia di restare soli per lunghi tratti, in compagnia dei soli pensieri, a meditare e rimugina­re sull’essere se stessi e lo sfor­zo di raggiungere la prossima fontana per potersi abbeverare. Ma anche l’amicizia che ritro­vi ad ogni punto di arrivo, la soddisfazione di essere giunto alla meta che ti eri prefissato, la festa che rincontravi ogni tanto nei paesini, la gioia di stare in­sieme. Durante il Cammino una tempesta di emozioni ti pervade sia per la varietà di paesaggi che ti ritrovi a contemplare lun­go la strada, sia per la pluralità di gente che ti circonda e che pian piano chiami amici. Non puoi in nessun modo preparar­ti a quello che ti aspetta. Per quanto mi riguarda, essendo nato e vissuto in territori pia­neggianti e comunque a livello del mare, anche volendo non potevo allenarmi ai sentieri di montagna che mi sono ritrovato a percorrere, come chi ci vive da sempre, tanto meno ai per­corsi di campagna soleggiati. Non esiste un allenamento ad hoc per quanto c’è da affronta­re e il corpo ne risente. Infatti a Santiago, nei negozi di souve­nir, le più vendute erano le ma­gliette con la scritta “Sin dolor no hay gloria”. Poiché tutti nel Cammino hanno sofferto per qualcosa.

Non avevi il timore di sba­gliare strada?

All’inizio sì. Non sapevo proprio come poter andare da un paese all’altro, ma subito dopo la partenza ho notato del­le frecce gialle lungo il tragitto che indicano sempre l’esatta direzione da seguire. Ad ogni bivio, curva o incrocio ritrovi spesso una di queste indica­zioni. Lungo il percorso sono dislocate fontane e chiese ove potersi riposare e ristorare nel modo corretto. Che emozione aver seguito le stesse frecce che centinaia di pellegrini seguono ogni giorno da tantissimi anni. Le medesime che non cessano di unire tutti i pellegrini e egua­gliandone gli obbiettivi. Anche gli zaini erano tutti diversi alla partenza, ma mano a mano si getta il superfluo e cominciano a diventare tutti uguali all’inter­no. Distinguere il necessario dal superfluo è stato un altro gran­de insegnamento del Cammino. Ogni oggetto o indumento che non si confaceva spesso andava gettato via, come ad esempio la maglietta un po’ più carina per poter uscire, o quella di riserva da utilizzare in casi particolari. Non esisteva il “potrebbe essere utile”.

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Hai mai pensato di mollare tutto?

Nonostante il tragitto fos­se molto duro non pensavo di abbandonarlo. Forse solo il primo giorno mi è balenato un piccolo ripensamento. Dopo aver scalato i Pirenei con tanta sofferenza, ho iniziato a pensare che il Cammino non facesse per me. Accarezzavo il pensiero di arrivare a Pamplona, una città con l’aeroporto e prendere un aereo che mi avrebbe riportato in Italia e quindi a casa. Inve­ce, ho raccolto tutto il mio co­raggio proseguendo con fede e tenacia finché non ho raggiun­to delle persone che mi furono prima compagni di viaggio, poi autentico gruppo di amici. Arri­vato a Pamplona fu l’amicizia a sostenermi fino a Santiago e forse oltre. È stata un’esperien­za fantastica che vorrei rifare nonostante l’oggettiva fatica. Come ha giustamente osservato un mio amico: “A viaggiare da soli si va veloci, ma a viaggiare in gruppo si va lontani”.

A chi vorresti dire grazie per questa straordinaria esperienza?

Ringrazio il Signore per questa fantastica avventura. E poi vorrei abbracciare e ringra­ziare i miei amici che mi sono stati accanto in questo viaggio: i miei compaesani; tutti i giova­ni della parrocchia “Maria SS. Assunta” di Monteroni e “San Sabino” di Lecce; i compagni della scuola di ballo “Parranda Latina” ed in modo particolare mia madre, mio padre e Martina poiché senza di loro questo pez­zo di vita vissuta non avrebbe avuto un appropriato inizio ed un lieto fine. 

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