ASSEMBLEA DIOCESANA/DALLA COMUNIONE NASCE LA MISSIONE
I brani salienti degli interventi che hanno analizzato la lettera post-visita dell’Arcivescovo.
La lettera, scritta, subito dopo la conclusione della Visita Pastorale, racconta la gioia di un incontro avvenuto con tutte e singole le comunità parrocchiali della diocesi.
UNA PASTORALE CHIARA, CONCRETA E PROFETICA
L’Arcivescovo, sulla base di un’ampia conoscenza acquisita sul campo e sulla spinta del magistero di Papa Francesco, invita noi presbiteri, primi collaboratori, diaconi, consacrati e laici “a elaborare una linea chiara, concreta e profetica della pastorale”. Meritano attenzione queste parole dell’Arcivescovo, che non si riferiscono a contenuti ma indicano un metodo per elaborare un progetto pastorale. Anzitutto una linea chiara: riferita all’azione pastorale può essere intesa come “fattibile”, “possibile”, e poi l’altra espressione: concreta e profetica. Questa coppia di aggettivi, concreta e profetica si rafforzano l’uno con l’altro; in altri termini, una pastorale è tanto più concreta quanto più è la risposta a bisogni veri, autentici, e non a bisogni indotti o surrogati. Una pastorale che punta a dare risposte a bisogni veri non può che essere una pastorale profetica, vale a dire, una pastorale che si nutre di ascolto della Parola di Dio e per questo non può non essere attenta alle vicende umane. Una pastorale concreta e profetica non può, dunque, essere una pastorale sorretta da schemi inamovibili, schemi che hanno funzionato bene nei tempi passati, in un modello di società che non tornerà più.
UN NUOVO MODO DI ESSERE PARROCCHIA
L’Arcivescovo propone l’ ambito più importante dove la pastorale deve assumere il volto profetico-missionario: la Parrocchia, nella sua dinamica interna e soprattutto in rapporto al territorio. L’attuale distribuzione delle parrocchie, nonostante le ultime revisioni dei confini, non risulta più idonea ai fini della missione della Parrocchia stessa. A questo delicato ma urgente problema l’Arcivescovo dedica gran parte dell’introduzione (nn. 2-3), per poi ritornarvi più volte nella Lettera, perché ritenuto uno dei problemi pastorali dominanti da affrontare. Non si tratta di chiudere o declassare alcune parrocchie per lasciarne e lanciarne altre, né di operare un semplice accorpamento. Si tratta di “convertire” o “riconvertire” l’azione pastorale parrocchiale. L’Arcivescovo propone un gruppo di studio su tale problema che ha bisogno di essere analizzato con serenità e con competenza, ma anche con urgenza: La revisione della organizzazione pastorale della nostra Chiesa e dei servizi da essa esigiti, impone l’avvio di una riflessione seria e condivisa. Urge studiare e proporre una inedita e attenta ristrutturazione delle parrocchie (n. 17, p. 53). Questa insistente premura del Vescovo trova ampia giustificazione negli orientamenti dati dalla Cei, già nel 2004, con il documento: Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. La nascita di un gruppo di riflessione, e ancor più la nascita di un movimento di pensiero il più largamente condiviso, che avvii e accompagni uno studio attento e sereno su tale problema è già un entrare nell’ottica della pastorale profetica. Ciò che conta, da subito, che tutti coloro a cui sta a cuore la Chiesa e la sua missione nel mondo si pongano nella prospettiva indicata da Papa Francesco: Chiesa in uscita. La Parrocchia, da noi, con le sue strutture e i suoi strumenti continua a erogare catechesi e sacramenti nei confronti di una comunità che negli ultimi decenni ha subito l’erosione del secolarismo e, dell’indifferentismo religioso, e, una gran parte di essa, in particolare la generazione dei giovani, non avverte più il bisogno di questi mezzi spirituali. La catechesi e i sacramenti dell’iniziazione cristiana non incidono più a modellare la vita dei battezzati, se non in una piccola percentuale.
La loro pratica, quando c’è, viene ricondotta a una specie di “adempimento sociale” come tanti altri adempimenti (es. la comunione di massa ai funerali). La pratica dei sacramenti, di fatto, per una gran parte di battezzati, non è più espressione di fede viva. E dunque, tutto l’impianto pastorale strutturato per erogare catechesi e sacramenti si configura, in molti casi come una risposta a una domanda che non c’è più, o si è fortemente assottigliata. Tuttavia si continua a far funzionare strutture e mezzi come se la domanda fosse di ampie dimensioni. Tutte le energie vengono impiegate a mantenere questa pastorale di conservazione (che di fatto conserva ben poco) che suppone una domanda che o non c’è o è molto ridotta. Forse una parte delle attuali energie dovrebbe essere indirizzata a una pastorale che susciti domande, a impiantare nei diversi ambiti della società segnali di frequenza per poter captare con chiarezza e immediatezza ciò che il Concilio chiama “le gioie, le speranza, le attese del mondo”, e dentro a queste gioie, speranze e attese, impianti il seme della fede cristiana. Non occorre, dunque, ridimensionare il numero delle Parrocchie, ma adeguarle alla trasformazione, ad essere efficaci nel lavoro di evangelizzazione così come si è fatto, finché si è potuto, con l’attività meritoria di conservazione della fede in un popolo fondamentalmente cristiano. Le trasformazioni in atto nella società sono ormai irreversibili per tanti aspetti. La Chiesa, come ha dimostrato nei passaggi cruciali della storia, ha l’attrezzatura essenziale per poter annunciare il Vangelo, da contemporanea, alle donne e agli uomini di ogni tempo e di ogni luogo. L’attenzione alle trasformazioni che avvengono nelle società, paradossalmente, è la nota più tradizionale della Chiesa e si chiama. Inculturazione della fede. Allora, vedete, la sfida della comunione chiama in causa un’altra sfida: la sfida della inculturazione della fede. La prima è un’espressione del nostro Vescovo, la seconda è un’espressione del nostro Papa, Papa Francesco. Ma qui si apre un altro interessante capitolo della pastorale diocesana, collegato al tema della comunione: Ieri, nell’incontro di formazione permanente si diceva: non ci può essere comunione se non c’è conoscenza.
Luigi Manca

















