Pubblicato in: Gio, Apr 25th, 2013

Carceri di Terra d’Otranto/La Casa Mandamentale di Monteroni e di Campi

Un nuovo viaggio nella Storia. Dopo l’Unità d’Italia.

L’uomo reo espierà nell’anima e non più sul corpo la sua pena. È questo il concetto da cui prenderà spunto, nel secolo XIX, una nuova visio­ne di carcere, inteso sì come detenzione, nella sua vera natura di privazione della libertà fisica, ma soprattutto inteso come pena della rieducazione: rispetto della persona e del suo status sociale.

La cru­deltà e la mancanza di pietà, che a lungo, nei corsi dei secoli, avevano mortificato l’istituto della detenzione con punizioni corporali, mancanza d’igiene e luce, ri­chiamano con forza l’attuazione di norme e regole processuali meno autoritarie e ancor più meno vincolate a illogiche decisioni arbitrarie. Dopo l’Unità d’Italia, nel settore della legislazione carceraria furono emanati nuovi ordinamenti che disciplinavano il funzionamento degli istituti, a loro volta suddivisi per catego­ria, gli organici del personale di custodia e quello amministrativo.

La logistica, la disciplina, l’istruzione religiosa e la condotta dei guardiani verso i detenuti avevano priorità assoluta. In una nota del 30 novembre 1875 inviata dal comune di Monteroni e indirizzata al Prefetto della provincia, il sindaco Oronzo D’Arpe fa presente il cattivo “funzionamento” del carcere mandamentale, a causa del pessi­mo comportamento dimostrato verso i de­tenuti dall’allora rappresentante dell’im­presa carceraria, chiedendo di “nominare altro individuo che lo rappresenti in questo paese, poiché egli non provvede ai detenuti, ai sensi del regolamento carcerario, facendo mancare loro l’acqua, e facendosi somministrare centesimi 35 al giorno in cambio del vitto”. L’im­presa carceraria, infatti, serviva al buon andamento e servizio delle patrie galere, e dipendeva direttamente dall’Appaltatore Generale delle carceri della Provincia, a sua volta sotto l’egida dell’Ufficio del Procuratore del Re.

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