Il Redentore e gli altri Santi
Liturgie d’altri tempi/La processione dell’Ascensione a Lecce.
TRADIZIONI/1
UN DOLCE SPECIALE
Simpatico anche lo speciale dolce di quel giorno, tutto tratto da derivati del latte: crema, con o senza cacao, caglio e poi il biancomangiare: farina e latte di mandorla con zucchero e altri ingredienti.
TRADIZIONI/2
L’ACQUA DELLE ROSE
Verso la fine del tempo pasquale, legato alla festa dell’Ascensione, il ricordo dell’Acqua delle Rose, il cui profumo avvolgeva gli ambienti di casa, avendo sparso i petali nelle bacinelle o in altri vassoi nelle ore notturne precedenti la festa; acqua pronta per lavarsi il viso al primo sorger del sole con un profumo fiorito.
Originale, almeno per Lecce, la processione del Redentore che, a quaranta giorni dalla Pasqua, si svolgeva sul calar del sole. Era l’unica a non essere accompagnata da un concerto musicale, per via della mancanza di un comitato che la finanziasse. Effettivamente detta processione consisteva nel portare in trionfo per i viali dell’antica circonvallazione cittadina, l’antica lignea statua del Redentore che se ne tornava in cielo.
Era preceduta dai simulacri più noti delle diciotto Confraternite urbane, assieme ai grandi stendardi gonfiati dal vento primaverile, che grazie a Dio nessuna stagione dell’anno manca tra le nostre mura, per via della vicinanza al Canale d’Otranto, a poco meno di dieci chilometri, dove si incontrano i venti in ogni direzione. L’ordine delle statue nella processione era unicamente determinato dal criterio di antichità delle singole confraternite; per cui ad un certo momento la statua mariana della Visitazione si trovava in mezzo a quella dei santi.
S. Giuseppe e S. Francesco da Paola, l’uno prima dell’altro, facevano bella mostra di sé, mettendo in risalto l’artistico legno veneziano di cui erano composte. Prima tra tutte a comparire era quella di S. Luigi Gonzaga, perché accompagnata dalla Confraternita ultima per l’erezione; anche se erroneamente molti pensavano che quel posto era determinato dalla sua età giovanile: nell’idioma di casa nostra suonava ‘sta ria lu piccinnu’.
All’uscita dalla Città, la benedizione avveniva con la statua del Redentore rivolta verso la Città murata; al rientro, prima di attraversare la Porta, la benedizione era destinata verso i campi. L’itinerario viario cambiava ogni quattro anni: usciva da Porta Napoli e rientrava per Porta S. Martino – oggi piazzetta Apollo -, la quarta e ultima porta abbattuta nel primo Ottocento, al ritorno in Patria dei Borboni, dopo la morte di Napoleone. Unico motivo di quell’abbattimento fu il criterio ‘estetico’ che non sopportava la vicinanza del neoclassico sfondo dell’edificio della nuova Prefettura.
L’anno successivo dalla Porta San Martino si passava a quella di S. Biagio ed, infine, nell’ultimo anno da Porta S. Biagio si raggiungeva nuovamente l’Arco di Trionfo. Il Vescovo seguiva la statua del Redentore con un non so quanti metri di cappa magna spiegata, un po’ serica e un po’ di lana pregiata, a seconda dell’appartenenza del Presule alla famiglia pontificia.
A dire il vero, nell’ultimo decennio tanti metri di coda furono sostituiti dalla mitria di lama d’oro del Canonico Ebdomadario, allorchè il Vescovo Minerva più non volle partecipare al sacro rito. Mitria e processione vennero meno insieme per il Giro d’Italia del ’70, che proprio da Lecce iniziava a muoversi.
Due corse sullo stesso tracciato era impossibile che si snodassero anche se la tabella di marcia era diametralmente opposta. Si convenne di sospenderla per poi riprenderla nell’anno successivo. Ma è sempre vero l’antico proverbio che cosa rimandata, è cosa rimangiata. Commovente era l’augurio che i vecchietti alla conclusione del rito si scambiavano ai piedi della Porta, che quasi si chiudeva alle loro spalle: se il Signore vorrà qui ci incontreremo per l’uscita dell’anno venturo, se lu Signore ole!
Oronzo De Simone
















