La Riflessione dell’Arcivescovo durante la Veglia per il Papa Emerito/“La Chiesa di Lecce ti vuole bene”
VERSO UN NUOVO PONTIFICATO/2
CONTINUERÀ E CONCLUDERÀ IL PERCORSO AVVIATO DA JOSEPH RATZINGER
Nuovo Papa, nuove attese: quali? Chi ha la ventura di nascere prima ha anche la convinzione, apparentemente legittima, di poter ipotizzare situazioni che stanno per presentarsi. È naturale che le dimissioni di Benedetto XVI abbiano rotto uno schema consolidato da millenni e abbiano riaperto non solo prassi istituzionali, ma, indirettamente. anche domande sulla figura del pontefice.
Allora, cosa ci si aspetta dal prossimo conclave? Quale figura pensiamo che sia adatta a questa fase storica della Chiesa e dell’umanità intera? Ma, ad esplicitare attese personali, si rischia sempre di essere smentiti dalla storia. Per dimostrarlo, torno indietro con la memoria per parlare dei Papi che hanno attraversato i decenni della mia esistenza. Quando ero fanciullo e fino alla mia giovinezza, fu Papa Pio XII, il “principe” Pacelli.
Nel 1943 fu lui che scese dal Vaticano per andare a San Lorenzo, dopo un bombardamento subito da quel rione popolare romano. In quella scelta non era né papa né principe: era un sacerdote, un Vescovo, che andava a portare, in una zona coperta dal lutto e dalla morte, la testimonianza della croce. Dopo di lui, Papa Roncalli, Giovanni XXIII, vescovo anziano, subito definito “papa di transizione”. Certo, lo fu: fu il papa della transizione strutturale a una nuova chiesa, quella del Concilio, da lui voluto in maniera forte.
Gli successe Paolo VI, papa Montini, uomo di cultura che, in nell’Europa di regimi totalitari, aveva formato una generazione, tramite la Fuci, di cui era assistente, all’umanesimo cristiano di Maritain e Mounier. Tra i suoi allievi Aldo Moro, vittima della Brigate Rosse, Giuseppe Dossetti che poi fondò un ordine monastico, e Giorgio La Pira, il sindaco “santo”. Poi avemmo per un mese Papa Luciani, cioè Giovanni Paolo I.
Purtroppo pochi ricordano la sua affermazione bellissima e rivoluzionaria, che valeva un intero pontificato: “Dio è madre”. Quindi venne Giovanni Paolo II, papa Wojtyla, che, subìto un attentato, andò in carcere a trovare e a perdonare il suo attentatore. Fu un pontefice che non esitò ad esibire la propria malattia, come esempio di una precarietà e sofferenza che toccano tutti.
Infine, Benedetto XVI, il cardinale Ratzinger, già prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, atteso come il pastore del dogmatismo e della chiusura alle innovazioni. Così non è stato: si è dimostrato dolce, dialogante sino alla modestia, pronto a indicare limiti della Chiesa e della stessa struttura burocratica del Vaticano. Le sue dimissioni hanno reso visibili aspetti importanti della Chiesa come istituzione storica. Allora quali attese per il nuovo Pontefice? Qui ogni credente, sulla base del proprio vissuto, potrebbe avanzare ipotesi diverse. Chi scrive potrebbe avere una propria attesa e la dichiara.
Tra gli scritti di Benedetto XVI spiccano due encicliche importanti: la Caritas in veritate, e la Spe salvi. Carità e speranza, temi nodali non solo per coloro che hanno fede. Ma oggi forse c’è proprio un forte deficit di fede. A questo papa Ratzinger non era insensibile se aveva preannunciato una enciclica che non verrà più pubblicata. Questo penso, e spero, sarà il punto centrale nel magistero del nuovo Pontefice.
Sembra secondario rispetto alla pratica religiosa riflettere sulla fede oggi, in una società che vive la diaspora delle culture e in cui sembra in decrescita la fede religiosa (parlo di questa perché ci sono tante altre pseudofedi mondane, a cominciare dalle locuzioni: la mia “fede” politica, la “fede” persino scritta sulle bandiere dei tifosi di calcio…). L’unica fede salvifica ed esistenzialmente motivante è la fede che il Vangelo ci presenta. Dal nuovo Pontefice attendiamo anche la conclusione di quel percorso di riflessione che il suo predecessore stava per completare.
Giovanni Invitto
Docente Universitario
















