Pubblicato in: Gio, Apr 23rd, 2015

Mons. Galantino: “La strada è tracciata: accogliere e risanare l’umanità ferita”

I problemi del Paese e le urgenze della Chiesa Italiana. Le riflessioni e il giudizio del Segretario della Cei. Un occhio particolare alle emergenze pugliesi. 

RIFLETTERE SULL’UOMO E AGIRE PER L’UOMO 

L’ANNO SANTO DELLA MISERICORDIA: “Come sarebbe bello aspettarsi non grandi pellegrinaggi a Roma, non grandi adunate ma soprattutto un pellegrinaggio del cuore che possa trasformarsi in un cuore di carne, capace di commuoversi, di volgersi verso il bene”. 

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L’EMERGENZA XYLELLA: “Mi sento vicino ai Salentini preoccupati per le conseguenze del batterio. Auguriamoci che vi siano oggettivi criteri che giustifichino gli interventi di eradicazione degli ulivi e le loro conseguenze”. 

“Mi sento vicino a tutte le perso­ne che stanno soffrendo per il dramma della Xylella, il bat­terio che colpisce gli ulivi, ma soprattutto, auguriamoci che vi siano oggettivi criteri che giu­stifichino gli interventi di eradi­cazione e le loro conseguenze”. È il messaggio che mons. Nunzio Galantino, – il Segretario Generale della Cei, nei giorni scorsi a Lecce per Presiedere un’Assemblea Diocesana in pre­parazione al Convegno di Firenze – ha voluto lanciare alle popolazioni salentine ma anche alla politica e alla scienza.

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“È comprensibile – ha aggiunto mons. Galantino – il motivo per il quale la gente stia insorgendo. Non è una ribel­lione dovuta soltanto al collasso di una preziosa fonte di economia, ma la paura di perdere un patrimonio che nel tempo è diventato fattore identitario”. Nella lunga intervista il Segretario della Cei ha affrontato alcuni dei temi di grande attualità che sono in evidenza nell’agenda della politica italiana e quindi al centro delle preoc­cupazioni della Chiesa. 

Mons. Galantino, la sua ancor breve esperienza di Vescovo l’ha condotta in poco tempo dal Ministero, sul campo, da pastore di Cassano allo Jonio alla “politica” da segretario generale della Cei.

Innanzitutto sarebbe opportuno che la co­siddetta “pastorale di strada” non venga inte­sa come un di più, o come un fatto eccezionale, o come una sorta di realtà che non appartenga direttamente alla missione della Chiesa, perché se la pastorale non è un sentirsi solidali verso ciò che accade per strada, su questa terra e a qualunque persona, non è chiaro di quale pasto­rale si possa parlare. Pertanto, qualsiasi sacer­dote, vescovo, o laico dalla propria sensibilità spirituale può agevolmente ricavare l’urgenza dell’impegno pastorale fatto per strada, senza fare nulla di straordinario oltre che il suo dovere.

Nella sua vita sacerdotale come ha accolto questo suo nuovo impegno?

In realtà, come qualsiasi altro. Chiedendo­mi dapprima chi è stato a chiamare, ed il primo a farlo è stato il Padre Eterno, spesso serven­dosi anche di intermediari che potessero far giungere la sua voce in ognuno di noi. Poi, mi sono chiesto che cosa egli si aspettasse da me e, almeno dal punto di vista umano, se fossi in grado di rispondere a questa richiesta, cercando di attrezzarmi, anche con l’aiuto di Dio stesso, affinché quelle che erano le attese potessero divenire, in seguito, risposte coerenti ed utili.

Il Papa guarda con particolare predilezione e con grande at­tenzione alla Chiesa italiana o è solo un’impressione?

Il Papa guarda a tutta quanta la Chiesa, anche se, evidentemente la contiguità con la Chiesa italiana gli fornisce uno sguardo molto più accorto ed avveduto verso i cattolici italiani; anche perché il Papa parla in italiano ed incontra per lo più pel­legrini italiani, tanta gente d’Italia in effetti, fatto che con molta proba­bilità contribuisce ad una attenzione particolarmente riversata sull’Italia. Tra l’altro è il Vescovo di Roma, ma è soprattutto la contiguità fisica che gli facilita il rapporto.

Lei, dopo aver appreso dell’ul­tima strage di cristiani gettati in mare durante un viaggio del­la speranza proprio in quanto fedeli a Cristo, ha parlato di “imbarbarimento”. Mons. Ga­lantino, perché esistono anco­ra le persecuzioni?

Le persecuzioni esistono soprat­tutto perché ciò che viene proposto non sempre è collaterale o accettato da tutti. È chiaro che quando l’espe­rienza cristiana fa delle proposte che vanno al di là dei luoghi comuni quando essa stessa col suo modo di esistere e di realizzarsi mette in crisi certi modi di fare, pensare ed agire, è evidente che scateni anche questo tipo di reazione che non può assolu­tamente essere giustificata.

Cosa pensa del “silenzio com­plice” che negli ultimi mesi il Papa denuncia con una certa insistenza?

C’è poco da pensare ma da indi­gnarsi piuttosto in quanto assistiamo a due pesi e due misure. Esistono degli interventi anche giustificati ma eccessivi su alcuni fronti e un si­lenzio assordante ed assolutamente complice su altri. Che in questo pe­riodo, si sta purtroppo consumando nei confronti dei cristiani persegui­tati. Se non vi fosse la voce forte del Papa probabilmente noi considere­remmo i morti per persecuzione uni­camente delle statistiche. È un errore della politica internazionale ma an­che nazionale perché l’entusiasmo, la partecipazione e l’attenzione con la quale ad ogni piè sospinto si or­ganizzano, con molta leggerezza, manifestazioni a favore di tante altre cause, ci si aspetterebbe che qualco­sa venisse fuori anche nei confronti dei cristiani perseguitati, nei nostri confronti, in quanto loro fratelli. La cosa più triste è far toccare, pur­troppo, con mano, a questi cristiani perseguitati anche l’abbandono. Per questo è necessario pregare per tut­ti coloro che vivono le persecuzioni, non si può assolutamente abbassa­re la guardia, ma anche assicurare l’assistenza, l’accoglienza e, per chi ne ha la possibilità, il farsi sentire materialmente può infondere loro coraggio nel momento della prova.

Che cosa porterà l’Anno Santo della Misericordia alla Chiesa Universale e alla Chiesa Italiana?

Spero che porti un cuore miseri­cordioso e che tutti possano finalmen­te aprire le porte del proprio cuore al Signore della vita affinché egli ci fac­cia fare esperienza della misericor­dia. Soltanto chi fa esperienza della misericordia, poi, avverte la gioia irrefrenabile di trasmettere agli altri quello che ha dentro, per farlo speri­mentare a tutti. Come sarebbe bello aspettarsi non grandi pellegrinaggi a Roma, non grandi adunate ma so­prattutto un pellegrinaggio del cuore che da una condizione di sclerotizza­zione possa trasformarsi in un cuore di carne, come dice il profeta, capace di commuoversi, di cambiare e vol­gersi verso il bene.

Che cosa s’intende per Nuovo Umanesimo e perché Cristo ne è il modello migliore per noi?

È nuovo rispetto ai tanti umane­simi contrabbandati e lo si sta già sperimentando. Solo l’umanesimo cristiano, che si nutre di dialogo, di attenzione verso gli altri, di vicinan­za, di assunzioni di responsabilità con gli altri e per gli altri, soltanto un umanesimo che si radica profon­damente in quello che Cristo è stato per noi è l’unico che oggi può parlare al mondo intero.

Quanto “costa” alla Chiesa ita­liana riflettere sull’uomo e so­prattutto quali sono le azioni e le opere del Nuovo Umanesi­mo?

Di sicuro ragionare sull’uomo è un impegno purché si conduca una riflessione che non resti fine a sé stes­sa ma che spinga, poi, all’azione, ad adottare scelte, gesti, parole che si­ano davvero utili per coloro che ve­dono continuamente la loro umanità bistrattata e il loro umanesimo nega­to. Quindi, per portare anche questa realtà verso un umanesimo realizza­ to occorre che la Chiesa familiariz­zi con quelle forme appena descritte attraverso le energie e lo slancio che solo Cristo può fornire. Come in gran parte già avviene, soprattutto in Ita­lia, dove l’umanità ferita viene accol­ta, risanata, accompagnata e rimessa in cammino.

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Cattolici e politica sembrano essere ormai diventati mondi lontani. Sarà mai possibile riav­vicinali?

Auguriamoci di sì. Tuttavia ciò non potrà mai avvenire se di cattolico vi saranno sempre e solo le etichette e invece non si arrivi a recuperarne il vero senso anche attraverso una formazione continua ed intensa che contribuisca a modellarsi ai valori cristiani poiché non ci si può soltan­to mettere il distintivo di cristiano o di cattolico né autoproclamarsi tali, specialmente, in vista di appunta­menti elettorali. Il cattolicesimo uno status che si acquisisce attraver­so il battesimo, l’adesione alla Santa Chiesa di Dio ma anche attraverso una consapevolezza di quello che Cristo ci chiede circa il nostro impe­gno nel mondo.

Crede che la corruzione sia il male peggiore del nostro Paese?

Certamente sì, poiché all’interno di questo lemma c’è veramente di tut­to, a partire dal disinteresse per gli altri che genera l’interesse spietato per sé stessi e per i propri interessi, il disprezzo della legge che conduce all’aggirarla per il proprio tornacon­to e la indifferenza nei confronti dei valori. Il corrotto è tutto questo, egli disprezza gli altri perché ha in conto solo se stesso e dalla corruzione si estrinseca tutto ciò che di male ci può essere oggi.

Secondo lei, come usciremo dalla crisi e cosa possono fare in più le Chiese locali in tema di carità?

Innanzitutto non è solo questione di carità. La carità è vicinanza, ac­coglienza, ma qui occorre sviluppare invece una sussidiarietà maggiore, una capacità critica, leggere la situa­zione senza perseverare nel mettere pannicelli caldi che tentino posticcia­mente di risolvere il problema econo­mico. È solo una questione di agenda politica. E la Chiesa, per quanto le è permesso deve, anche, contribuire a definire tale agenda facendo capire, a coloro i quali ci governano, che non sempre l’attenzione è rivolta sui biso­gni primari della gente.

Matrimonio, unioni civili, fami­glia. In che maniera i Vescovi italiani si pongono nei confron­ti delle prossime annunciate scelte del Governo e del Parla­mento?

Le parole del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il card. Bagnasco, pronunziate proprio nell’ultima prolusione al Consiglio permanente, sono molto chiare su questo punto. La questione è una sola: al netto dei diritti individuali che lo Stato deve imparare a saper garantire e tutelare con certezza, allo stesso modo e con lo stesso entusia­smo dovrebbe anche imparare ed in­segnare a distinguere la famiglia da altre forme di “parentela affettiva” stabili e non. Pertanto, è necessa­rio che lo Stato prenda coscienza di quest’impegno utile a definire i confi­ni della famiglia e a difenderli seria­mente. C’è troppa confusione intorno a questa realtà, anzi, spesso si pensa, erroneamente, che intensificando la confusione si risolvano i problemi.

La scuola cattolica sta attraver­sando un momento difficile e non solo per motivi economici. Crede che la “Buona scuola” del Governo Renzi potrà contri­buire a rafforzarla?

Auguriamoci per lo meno che si chiarisca maggiormente ciò che già dal 2000 doveva essere dato per acquisito, ovvero, l’esistenza di una sola scuola pubblica, paritaria o statale che sia. Fermo restando che qualsiasi scuola è portata a ri­spettare le cosiddette urgenze detta­te dal Governo, allo stesso modo e, necessariamente, deve essere rite­nuta uno strumento attraverso cui si contribuisce alla crescita della so­cietà. Ancora, il sostenere la scuola paritaria non è una specie di favore che i governanti le elargiscono, bi­sogna uscire fuori da quest’ottica. Alcuni passaggi che ancora devono essere affrontati e definiti, nel ddl sulla scuola sembrano andare nella direzione giusta, basti pensare al ri­conoscimento della detraibilità delle rette. Diventerebbe un fatto molto ri­levante al di là della quantificazione: si fonderebbe ancor di più la consa­pevolezza che la scuola paritaria è anch’essa, un’espressione di libertà offerta come opportunità educativa e formativa alle famiglie italiane.

Il Papa predica povertà specie agli uomini di Chiesa. E anche lei, nei giorni scorsi ripeteva che “la malattia dell’accumu­lare diventa un vero demone quando porta a colmare un vuo­to esistenziale nel cuore, accu­mulando beni materiali non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro”. Quant’è difficile car­pire il senso di questo messag­gio e metterlo in pratica?

È assai difficile tant’è che ne tra­spare anche la fatica di ciascuno nel tentare di vivere una vita fatta di es­senzialità e di rinunzie, non ostentate ma reali. Da sempre è la semplicità di vita quella che contagia, il non trincerarsi dietro le cose possedute o rubate, oppure ostentate, non è que­sto che tende a depistare ma, nella maggior parte dei casi, la gente com­prende molto bene la personalità e il carisma di un prete, o di un vescovo, o di un cristiano che vive decorosa­mente e dignitosamente dell’essen­ziale. Tuttavia, c’è sempre qualcuno che avvertendo dei vuoti da colmare, siano essi affettivi o spirituali, si get­ta su altro.

Rendere alla domenica il suo giusto ruolo, come lei sostiene, “appare una battaglia di civiltà prima ancora che di spiritualità perché restituisce l’uomo alla sua nativa capacità di vivere per vivere e non semplicemen­te per lavorare”. Si parlerà an­che di questo a Firenze?

Sì, sicuramente. Tutto ciò è insito in uno dei cinque verbi scelti. In que­sto caso “trasfigurare”. In esso vie­ne affrontato il tema della domenica. L’uomo che viene privato dei propri spazi, siano essi di relazione, di pre­ghiera, di divertimento, di contem­plazione, anche dell’azione più laica possibile, esso diventa meno uomo. In questo senso quella della domenica non è una battaglia solo religiosa, ma una battaglia di civiltà, di mero recu­pero di ciò che l’uomo deve essere.

Mons. Galantino, lei è pugliese come noi. Quali parole si sente di indirizzare al popolo salen­tino preoccupato e sfiduciato per il dramma, non solo econo­mico, ma anche storico-cultu­rale causato dall’epidemia del­la Xylella che colpisce gli ulivi. I Vescovi del Salento hanno già fatto sentire la propria voce e la propria vicinanza alla gente che vive questa tragedia…

È una tragedia. Se si trattasse di un dramma solo economico comun­que non sarebbe poco. Tuttavia si comprende bene come la nostra terra, in quanto tale, si identifichi con l’uli­vo che nel corso del tempo è divenuto non soltanto un vettore di economia e di benessere, ma figura essenziale, elemento che raccoglie l’intera vita dell’uomo e di tutte le genti pugliesi. Sradicare significa anche perdere le proprie radici, la memoria, le diverse sensibilità. È comprensibile il motivo per il quale la gente stia insorgendo. Non è una ribellione dovuta soltanto al collasso di una preziosa fonte di economia ma la paura di perdere un patrimonio che nel tempo è diventato fattore identitario. Mi sento vicino a tutte le persone che stanno soffrendo per questo, ma soprattutto, auguria­moci che vi siano oggettivi criteri che giustifichino gli interventi di eradica­zione e le loro conseguenze.

Vincenzo Paticchio e Christian Tarantino

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