Mons. Galantino: “La strada è tracciata: accogliere e risanare l’umanità ferita”
I problemi del Paese e le urgenze della Chiesa Italiana. Le riflessioni e il giudizio del Segretario della Cei. Un occhio particolare alle emergenze pugliesi.
RIFLETTERE SULL’UOMO E AGIRE PER L’UOMO
L’ANNO SANTO DELLA MISERICORDIA: “Come sarebbe bello aspettarsi non grandi pellegrinaggi a Roma, non grandi adunate ma soprattutto un pellegrinaggio del cuore che possa trasformarsi in un cuore di carne, capace di commuoversi, di volgersi verso il bene”.
L’EMERGENZA XYLELLA: “Mi sento vicino ai Salentini preoccupati per le conseguenze del batterio. Auguriamoci che vi siano oggettivi criteri che giustifichino gli interventi di eradicazione degli ulivi e le loro conseguenze”.
“Mi sento vicino a tutte le persone che stanno soffrendo per il dramma della Xylella, il batterio che colpisce gli ulivi, ma soprattutto, auguriamoci che vi siano oggettivi criteri che giustifichino gli interventi di eradicazione e le loro conseguenze”. È il messaggio che mons. Nunzio Galantino, – il Segretario Generale della Cei, nei giorni scorsi a Lecce per Presiedere un’Assemblea Diocesana in preparazione al Convegno di Firenze – ha voluto lanciare alle popolazioni salentine ma anche alla politica e alla scienza.
“È comprensibile – ha aggiunto mons. Galantino – il motivo per il quale la gente stia insorgendo. Non è una ribellione dovuta soltanto al collasso di una preziosa fonte di economia, ma la paura di perdere un patrimonio che nel tempo è diventato fattore identitario”. Nella lunga intervista il Segretario della Cei ha affrontato alcuni dei temi di grande attualità che sono in evidenza nell’agenda della politica italiana e quindi al centro delle preoccupazioni della Chiesa.
Mons. Galantino, la sua ancor breve esperienza di Vescovo l’ha condotta in poco tempo dal Ministero, sul campo, da pastore di Cassano allo Jonio alla “politica” da segretario generale della Cei.
Innanzitutto sarebbe opportuno che la cosiddetta “pastorale di strada” non venga intesa come un di più, o come un fatto eccezionale, o come una sorta di realtà che non appartenga direttamente alla missione della Chiesa, perché se la pastorale non è un sentirsi solidali verso ciò che accade per strada, su questa terra e a qualunque persona, non è chiaro di quale pastorale si possa parlare. Pertanto, qualsiasi sacerdote, vescovo, o laico dalla propria sensibilità spirituale può agevolmente ricavare l’urgenza dell’impegno pastorale fatto per strada, senza fare nulla di straordinario oltre che il suo dovere.
Nella sua vita sacerdotale come ha accolto questo suo nuovo impegno?
In realtà, come qualsiasi altro. Chiedendomi dapprima chi è stato a chiamare, ed il primo a farlo è stato il Padre Eterno, spesso servendosi anche di intermediari che potessero far giungere la sua voce in ognuno di noi. Poi, mi sono chiesto che cosa egli si aspettasse da me e, almeno dal punto di vista umano, se fossi in grado di rispondere a questa richiesta, cercando di attrezzarmi, anche con l’aiuto di Dio stesso, affinché quelle che erano le attese potessero divenire, in seguito, risposte coerenti ed utili.
Il Papa guarda con particolare predilezione e con grande attenzione alla Chiesa italiana o è solo un’impressione?
Il Papa guarda a tutta quanta la Chiesa, anche se, evidentemente la contiguità con la Chiesa italiana gli fornisce uno sguardo molto più accorto ed avveduto verso i cattolici italiani; anche perché il Papa parla in italiano ed incontra per lo più pellegrini italiani, tanta gente d’Italia in effetti, fatto che con molta probabilità contribuisce ad una attenzione particolarmente riversata sull’Italia. Tra l’altro è il Vescovo di Roma, ma è soprattutto la contiguità fisica che gli facilita il rapporto.
Lei, dopo aver appreso dell’ultima strage di cristiani gettati in mare durante un viaggio della speranza proprio in quanto fedeli a Cristo, ha parlato di “imbarbarimento”. Mons. Galantino, perché esistono ancora le persecuzioni?
Le persecuzioni esistono soprattutto perché ciò che viene proposto non sempre è collaterale o accettato da tutti. È chiaro che quando l’esperienza cristiana fa delle proposte che vanno al di là dei luoghi comuni quando essa stessa col suo modo di esistere e di realizzarsi mette in crisi certi modi di fare, pensare ed agire, è evidente che scateni anche questo tipo di reazione che non può assolutamente essere giustificata.
Cosa pensa del “silenzio complice” che negli ultimi mesi il Papa denuncia con una certa insistenza?
C’è poco da pensare ma da indignarsi piuttosto in quanto assistiamo a due pesi e due misure. Esistono degli interventi anche giustificati ma eccessivi su alcuni fronti e un silenzio assordante ed assolutamente complice su altri. Che in questo periodo, si sta purtroppo consumando nei confronti dei cristiani perseguitati. Se non vi fosse la voce forte del Papa probabilmente noi considereremmo i morti per persecuzione unicamente delle statistiche. È un errore della politica internazionale ma anche nazionale perché l’entusiasmo, la partecipazione e l’attenzione con la quale ad ogni piè sospinto si organizzano, con molta leggerezza, manifestazioni a favore di tante altre cause, ci si aspetterebbe che qualcosa venisse fuori anche nei confronti dei cristiani perseguitati, nei nostri confronti, in quanto loro fratelli. La cosa più triste è far toccare, purtroppo, con mano, a questi cristiani perseguitati anche l’abbandono. Per questo è necessario pregare per tutti coloro che vivono le persecuzioni, non si può assolutamente abbassare la guardia, ma anche assicurare l’assistenza, l’accoglienza e, per chi ne ha la possibilità, il farsi sentire materialmente può infondere loro coraggio nel momento della prova.
Che cosa porterà l’Anno Santo della Misericordia alla Chiesa Universale e alla Chiesa Italiana?
Spero che porti un cuore misericordioso e che tutti possano finalmente aprire le porte del proprio cuore al Signore della vita affinché egli ci faccia fare esperienza della misericordia. Soltanto chi fa esperienza della misericordia, poi, avverte la gioia irrefrenabile di trasmettere agli altri quello che ha dentro, per farlo sperimentare a tutti. Come sarebbe bello aspettarsi non grandi pellegrinaggi a Roma, non grandi adunate ma soprattutto un pellegrinaggio del cuore che da una condizione di sclerotizzazione possa trasformarsi in un cuore di carne, come dice il profeta, capace di commuoversi, di cambiare e volgersi verso il bene.
Che cosa s’intende per Nuovo Umanesimo e perché Cristo ne è il modello migliore per noi?
È nuovo rispetto ai tanti umanesimi contrabbandati e lo si sta già sperimentando. Solo l’umanesimo cristiano, che si nutre di dialogo, di attenzione verso gli altri, di vicinanza, di assunzioni di responsabilità con gli altri e per gli altri, soltanto un umanesimo che si radica profondamente in quello che Cristo è stato per noi è l’unico che oggi può parlare al mondo intero.
Quanto “costa” alla Chiesa italiana riflettere sull’uomo e soprattutto quali sono le azioni e le opere del Nuovo Umanesimo?
Di sicuro ragionare sull’uomo è un impegno purché si conduca una riflessione che non resti fine a sé stessa ma che spinga, poi, all’azione, ad adottare scelte, gesti, parole che siano davvero utili per coloro che vedono continuamente la loro umanità bistrattata e il loro umanesimo negato. Quindi, per portare anche questa realtà verso un umanesimo realizza to occorre che la Chiesa familiarizzi con quelle forme appena descritte attraverso le energie e lo slancio che solo Cristo può fornire. Come in gran parte già avviene, soprattutto in Italia, dove l’umanità ferita viene accolta, risanata, accompagnata e rimessa in cammino.
Cattolici e politica sembrano essere ormai diventati mondi lontani. Sarà mai possibile riavvicinali?
Auguriamoci di sì. Tuttavia ciò non potrà mai avvenire se di cattolico vi saranno sempre e solo le etichette e invece non si arrivi a recuperarne il vero senso anche attraverso una formazione continua ed intensa che contribuisca a modellarsi ai valori cristiani poiché non ci si può soltanto mettere il distintivo di cristiano o di cattolico né autoproclamarsi tali, specialmente, in vista di appuntamenti elettorali. Il cattolicesimo uno status che si acquisisce attraverso il battesimo, l’adesione alla Santa Chiesa di Dio ma anche attraverso una consapevolezza di quello che Cristo ci chiede circa il nostro impegno nel mondo.
Crede che la corruzione sia il male peggiore del nostro Paese?
Certamente sì, poiché all’interno di questo lemma c’è veramente di tutto, a partire dal disinteresse per gli altri che genera l’interesse spietato per sé stessi e per i propri interessi, il disprezzo della legge che conduce all’aggirarla per il proprio tornaconto e la indifferenza nei confronti dei valori. Il corrotto è tutto questo, egli disprezza gli altri perché ha in conto solo se stesso e dalla corruzione si estrinseca tutto ciò che di male ci può essere oggi.
Secondo lei, come usciremo dalla crisi e cosa possono fare in più le Chiese locali in tema di carità?
Innanzitutto non è solo questione di carità. La carità è vicinanza, accoglienza, ma qui occorre sviluppare invece una sussidiarietà maggiore, una capacità critica, leggere la situazione senza perseverare nel mettere pannicelli caldi che tentino posticciamente di risolvere il problema economico. È solo una questione di agenda politica. E la Chiesa, per quanto le è permesso deve, anche, contribuire a definire tale agenda facendo capire, a coloro i quali ci governano, che non sempre l’attenzione è rivolta sui bisogni primari della gente.
Matrimonio, unioni civili, famiglia. In che maniera i Vescovi italiani si pongono nei confronti delle prossime annunciate scelte del Governo e del Parlamento?
Le parole del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il card. Bagnasco, pronunziate proprio nell’ultima prolusione al Consiglio permanente, sono molto chiare su questo punto. La questione è una sola: al netto dei diritti individuali che lo Stato deve imparare a saper garantire e tutelare con certezza, allo stesso modo e con lo stesso entusiasmo dovrebbe anche imparare ed insegnare a distinguere la famiglia da altre forme di “parentela affettiva” stabili e non. Pertanto, è necessario che lo Stato prenda coscienza di quest’impegno utile a definire i confini della famiglia e a difenderli seriamente. C’è troppa confusione intorno a questa realtà, anzi, spesso si pensa, erroneamente, che intensificando la confusione si risolvano i problemi.
La scuola cattolica sta attraversando un momento difficile e non solo per motivi economici. Crede che la “Buona scuola” del Governo Renzi potrà contribuire a rafforzarla?
Auguriamoci per lo meno che si chiarisca maggiormente ciò che già dal 2000 doveva essere dato per acquisito, ovvero, l’esistenza di una sola scuola pubblica, paritaria o statale che sia. Fermo restando che qualsiasi scuola è portata a rispettare le cosiddette urgenze dettate dal Governo, allo stesso modo e, necessariamente, deve essere ritenuta uno strumento attraverso cui si contribuisce alla crescita della società. Ancora, il sostenere la scuola paritaria non è una specie di favore che i governanti le elargiscono, bisogna uscire fuori da quest’ottica. Alcuni passaggi che ancora devono essere affrontati e definiti, nel ddl sulla scuola sembrano andare nella direzione giusta, basti pensare al riconoscimento della detraibilità delle rette. Diventerebbe un fatto molto rilevante al di là della quantificazione: si fonderebbe ancor di più la consapevolezza che la scuola paritaria è anch’essa, un’espressione di libertà offerta come opportunità educativa e formativa alle famiglie italiane.
Il Papa predica povertà specie agli uomini di Chiesa. E anche lei, nei giorni scorsi ripeteva che “la malattia dell’accumulare diventa un vero demone quando porta a colmare un vuoto esistenziale nel cuore, accumulando beni materiali non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro”. Quant’è difficile carpire il senso di questo messaggio e metterlo in pratica?
È assai difficile tant’è che ne traspare anche la fatica di ciascuno nel tentare di vivere una vita fatta di essenzialità e di rinunzie, non ostentate ma reali. Da sempre è la semplicità di vita quella che contagia, il non trincerarsi dietro le cose possedute o rubate, oppure ostentate, non è questo che tende a depistare ma, nella maggior parte dei casi, la gente comprende molto bene la personalità e il carisma di un prete, o di un vescovo, o di un cristiano che vive decorosamente e dignitosamente dell’essenziale. Tuttavia, c’è sempre qualcuno che avvertendo dei vuoti da colmare, siano essi affettivi o spirituali, si getta su altro.
Rendere alla domenica il suo giusto ruolo, come lei sostiene, “appare una battaglia di civiltà prima ancora che di spiritualità perché restituisce l’uomo alla sua nativa capacità di vivere per vivere e non semplicemente per lavorare”. Si parlerà anche di questo a Firenze?
Sì, sicuramente. Tutto ciò è insito in uno dei cinque verbi scelti. In questo caso “trasfigurare”. In esso viene affrontato il tema della domenica. L’uomo che viene privato dei propri spazi, siano essi di relazione, di preghiera, di divertimento, di contemplazione, anche dell’azione più laica possibile, esso diventa meno uomo. In questo senso quella della domenica non è una battaglia solo religiosa, ma una battaglia di civiltà, di mero recupero di ciò che l’uomo deve essere.
Mons. Galantino, lei è pugliese come noi. Quali parole si sente di indirizzare al popolo salentino preoccupato e sfiduciato per il dramma, non solo economico, ma anche storico-culturale causato dall’epidemia della Xylella che colpisce gli ulivi. I Vescovi del Salento hanno già fatto sentire la propria voce e la propria vicinanza alla gente che vive questa tragedia…
È una tragedia. Se si trattasse di un dramma solo economico comunque non sarebbe poco. Tuttavia si comprende bene come la nostra terra, in quanto tale, si identifichi con l’ulivo che nel corso del tempo è divenuto non soltanto un vettore di economia e di benessere, ma figura essenziale, elemento che raccoglie l’intera vita dell’uomo e di tutte le genti pugliesi. Sradicare significa anche perdere le proprie radici, la memoria, le diverse sensibilità. È comprensibile il motivo per il quale la gente stia insorgendo. Non è una ribellione dovuta soltanto al collasso di una preziosa fonte di economia ma la paura di perdere un patrimonio che nel tempo è diventato fattore identitario. Mi sento vicino a tutte le persone che stanno soffrendo per questo, ma soprattutto, auguriamoci che vi siano oggettivi criteri che giustifichino gli interventi di eradicazione e le loro conseguenze.
Vincenzo Paticchio e Christian Tarantino


















