Padre Pio… Sacerdote santo, Vittima perfetta
NASUTI: “QUANDO L’ARCIVESCOVO VAILATI MI NOMINÒ NOTAIO”
Da sempre la figura e le vicende umane e soprannaturali di Padre Pio, dal giorno della sua nascita a Pietrelcina il 25 maggio 1887 a quello della sua morte a S. Giovanni Rotondo il 23 settembre 1968, hanno interessato e continuano a suscitare l’attenzione e non poco stupore e ammirazione da parte di persone provenienti da ogni angolo della terra.
Sulla scia dell’insegnamento del Crocifisso, egli ha lasciato in eredità ai suoi figli spirituali un grande esempio di attento servizio al ministero sacerdotale, di fedele attaccamento al Vangelo, di profondo amore e dedizione al prossimo, immolando se stesso sull’altare del sacrificio eucaristico per riscattare i peccati del mondo. Don Michele Nasuti, notaio attuario per le virtù e i miracoli di Padre Pio al processo di beatificazione e giudice delegato per il processo di canonizzazione, in un’esclusiva intervista ci ha offerto un’inedita e preziosissima testimonianza del santo di Pietrelcina, tanto contrastato e nello stesso tempo tanto amato dalle folle.
Innanzi tutto, come ha seguito personalmente l’esperienza di Padre Pio nei diversi anni?
Tutto ebbe inizio nel 1983 quando l’arcivescovo di Manfredonia mons. Valentino Vailati mi convocò per affidarmi il compito di notaio nella Causa per la Beatificazione di Padre Pio. Direttamente non lo conobbi abbastanza, anche se nel 1968, quando morì, io, già prete, presi parte alle sue esequie, davvero largamente condivise da clero e dalla popolazione locale: ricordo ancora con viva emozione il suo corpo nella bara un po’ scoperta. Nominato notaio, manifestai subito il mio scetticismo nei confronti della santità del Frate, ma il Vescovo mi rassicurò, poiché il mio compito consisteva solo nel trascrivere gli atti del Tribunale. In realtà, mi ero pronunciato con l’espressione poco felice: “Non credo in Padre Pio”, che risaliva già al periodo in cui il presule mons. Andrea Cesarano (1931-‘69) decise di tenerci a debita distanza da quel religioso per non enfatizzarne il fenomeno e noi seminaristi teologi eravamo stati abituati a guardarlo con diffidenza per non alimentarne una devozione.
Mons. Cesarano fa il suo ingresso a Manfredonia (1931)
Certamente, una delle maggiori difficoltà fu la selezione delle testimonianze necessarie…
Tanti devoti si presentarono, infatti, per il processo: da una prima stima ne contammo ben trecento. Il cappuccino e vice-postulatore padre Gerardo Di Flumeri sfoltì, secondo le direttive di Roma, il gran numero, per cui nei diversi periodi ne furono ascoltati complessivamente una settantina che relazionarono sulla vita del frate. Proprio da queste attestazioni deriva, pertanto, la mia personale devozione al Santo. Del resto, il mio approccio alla diatriba su di lui era stato piuttosto disincantato, mai ostile; comunque, aperto al mistero del suo sì, vero e proprio dono per questa terra.
Dalle loro opere li riconoscerete… una conferma giunta dalla gente… vox populi…
È proprio vero che il mio atteggiamento, la mia certezza sul suo eroismo cristiano mutarono man mano ed in proporzione che testimonianze, documenti ed opere crescevano. Si può ben comprendere che egli abbia avuto molti nemici, perché “intorno ad un santo – come asserì uno dei testi – ci sono anche molti diavoli”. A volte, era guardato con diffidenza persino dai cappuccini stessi. Contro lui furono numerosi i provvedimenti adottati da Roma. Com’è noto, gli fu ostile anche padre Agostino Gemelli, il quale, senza nemmeno visitarlo in quanto impedito dallo stesso Padre Pio, lo dipinse come un isterico e perfino come uno psicopatico. Fu un periodo travagliato per il Santo, che durò con fasi diverse fino alla sua morte, quando le cose si calmarono.
A cura di Christian Tarantino

















