Per le strade di Lecce. Come in una fiaba
LA GIULIA /ORA STATUINE IN CARTAPESTA
La galleria di personaggi non può che iniziare dalla mitica leggendaria Giulia, al secolo Giulia Russo, ma conosciuta come la “Principessa”, una vecchietta piccola e ciarliera che andava in giro raccogliendo tutti i pezzetti di carta che le capitavano tra i piedi. Aveva al collo, a mo’ di collana, una corda da cui pendevano grandi chiavi che lei sosteneva fossero le “chiavi della città” donatele dal re.
Raccontava infatti di essere cugina del Principe Umberto che sarebbe venuto a prenderla per sposarla e per darle i soldi con cui restaurare le chiese della città. Spesso i ragazzini, incontrandola per strada, le gridavano dietro: “Ggiuggiulia, a persa la càusa!” (Giulia hai perso la causa n.d.r.), con riferimento ad una causa persa a cui attribuiva le sue difficoltà economiche, e lei reagiva minacciandoli con le chiavi e inveendo contro i mocciosi che fuggivano. Quando Giulia ha lasciato questo mondo con lei è andato via un pezzo di storia locale ricco di poesia che rivive nelle statuine di cartapesta a lei dedicate che la raffigurano.
“MÈSCIU NNINU NGUÌ”/NEI VERSI DI DON FRANCO LUPO
Girava per la città, soprattutto intorno alla “chiazza” coperta e alla fontana dell’Armonia, indossando, sia in estate che in inverno, il cappello e una giacchetta aperta. Era seguito sempre da uno stuolo di ragazzini che lo apostrofavano “Mèsciu Nninu….Nguìììììì…” e lui rispondeva: “Le mamme osce!… brutti nfetesciuti! Eniti, ca bu fazzu l’anche torte!” (Lazzaroni, venite che vi spezzo le gambe n.d.r), come ricordano ancora una volta i versi di don Franco Lupo.
Al tempo stesso era felice di essere riconosciuto; guai, infatti, ad ignorarlo: cominciava lo stesso ad inveire. Raccontava aneddoti e parlava indignandosi delle politica in genere. Diceva di voler il mondo senza imbrogli e guai e lo declamava con una veemenza che porta don Franco a concludere con questi versi la poesia a lui dedicata: “O mesciu Nninu miu, tende si sciuto/de Lecce toa cu còre nnutecatu / se moi turnai, ece cosa te piacia/di tuttu stu prugressu saggeratu?”(Maestro Nino, sei andato via dalla Lecce tua, con il cuore addolorato, se ora ritornassi, cosa ti piacerebbe di tutto questo progresso esagerato? n.d.r).
DON GIULIO “PAMPASCIULU”/QUEL NOBILE DECADUTO
È tra i personaggi più antichi, vissuto fino agli anni ‘50. Al secolo Giulio Brunetti, sosteneva di discendere da una nobile famiglia decaduta e di queste sue origini continuava a mantenere il contegno fiero, signorile e affettato fino a rasentare il ridicolo, il che gli aveva procurato il nomignolo. Passeggiava per Lecce indossando un vestito scuro spiegazzato e vecchie scarpe, a cui facevano contrasto il bastone di bambù, munito di punta con cui raccoglieva le cicche, utili per ottenerne sigarette, una paglietta bianca e un garofano all’occhiello.
Rispondeva con raffinato distacco al saluto, sollevando dalla testa la paglietta, ma guai ai ragazzini che lo insultavano. L’elegante gentiluomo si trasformava, roteando contro di loro il bastone, pronto a colpirli, lanciando una serie di volgari improperi a cui i monelli rispondevano rincarando la dose e fuggendo allegramente. Quasi una recita su un canovaccio inconsciamente concordato.


















