Volontariato… Un nuovo umanesimo di fraternità
“Il volontariato che io amo di più è quello in cui il volontario si sente dentro a un rapporto, non un altruista. Penso cioè che il volontariato debba essere inteso come reciprocità, come offerta di un rapporto”. Sono parole di Luigino Bruni, Docente di Economia Politica ed Etica Economica all’Università Milano Bicocca. Secondo Bruni, infatti, l’esperienza del volontariato è una dimensione del vivere, non semplicemente del fare e va impostata non tanto come un’offerta di servizi e di beni ma soprattutto come “offerta di comunità diverse e di rapporti nuovi”. Il volontario non è un altruista, non si incuriosisce o si preoccupa semplicemente per i problemi degli altri ma è colui che ha capito che la vita buona richiede reciprocità. Egli sperimenta che la povertà è una condizione esistenziale della vita, non è la mancanza di beni ma un sapere che si dipende dagli altri; essa è, in senso lato, condizione dell’umano e non una categoria di persone e il donare le proprie forze alle persone svantaggiate rientra in un rapporto di scambio. Le ferite causate dalla grande corsa allo sviluppo dei tempi moderni risiedono soprattutto nelle relazioni, all’incapacità d’incontrarsi nella reciprocità e nella bellezza spirituale della relazione e proprio nelle società opulente oggi sperimentiamo una crescente noia e solitudine. La crisi che stiamo vivendo da diversi decenni è una crisi etica e morale, perché la ragione dell’individuo può cogliere il valore dell’uguaglianza, ma non quello della fraternità. Adam Smith, considerato il padre fondatore della scienza economica moderna affermava: “La gratuità è meno essenziale della giustizia per l’esistenza della società. La società può sussistere senza gratuità”.
E ancora: “La società civile può esistere tra persone diverse basandosi sulla considerazione dell’utilità individuale, senza alcuna forma di amore o di reciproco affetto”. Gli effetti di questo modo d’intendere la convivenza sociale sono quotidianamente davanti ai nostri occhi ed in futuro avremo un bisogno immenso di persone capaci di gratuità e reciprocità che hanno capito che nella vita il bene più prezioso sono i rapporti, le persone, non le merci o i soldi. È uno stile di vita, un modo di intendere l’esistenza umana per il valore che ha il suo stesso respiro e non semplicemente un’attività confinata in due, tre ore di tempo libero quasi fosse l’espletamento di un compito. Donare il proprio tempo deve rappresentare la punta di un iceberg che nasconde quindi qualcosa di più profondo, di invisibile, nella consapevolezza che ciò che facciamo o doniamo non deve legare l’altro ma liberarlo; deve rappresentare un “vivere di più” e non la compensazione per qualcosa che manca o di cui non si è contenti. Poi ovviamente dobbiamo parlare di fraternità perché per costruire un mondo nuovo non bastano le persone uguali e libere ma serve qualcos’altro che le tenga assieme. Un popolo che non trova questo legame, anche se è fatto di persone libere ed eguali, non è popolo ma una sommatoria di individui senza progetti e senza futuro. La fraternità, essendo un legame, è ambivalente e vulnerabile; cosa che non avviene con la solidarietà. È facile dare ciò che si ha in più ma molto difficile dare se stessi con gratuità e gioia. Per questo, il volontariato ha molto a che fare con la fraternità e meno con la solidarietà. Forse i tempi sono ormai maturi per farci capire verso dove andiamo, che cosa vogliamo davvero e se stiamo diventando persone migliori; tocca a noi essere pietre vive delle comunità e con passo leggero ed un operato gioioso preparare un nuovo “umanesimo”.
Titti Martina
















