Pubblicato in: Ven, Mar 13th, 2015

LE TAVOLE DI S. GIUSEPPE/“SANTI” E POVERI ALLA STESSA MENSA

“Presupposto basilare è l’invito ad Ospiti, sempre in numero dispari, da un minimo di tre sino a tredici, insieme ai quali condividere il piacere e la gioia della mensa”.  

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Ancora pochi fo­glietti e il calen­dario segnerà 19 marzo, antivigilia della primavera e, soprattutto, giorno in cui, per i cattolici, si celebra la festa di S. Giuseppe, sposo della Vergine Maria e padre putativo di Gesù. Il culto e la venerazione verso il Santo Patriarca per eccellenza, capo terreno della Famiglia di Nazareth, sono diffusi in tutto il mondo e numerosi e capillari si con­tano gli edifici religiosi a lui espressamente dedicati. A prescindere dalle anzidette notazioni sul piano della fede e di un credo specifico, vale la pena di ricordare che il 19 marzo, in Italia, è stato a lungo considerato “giorno fe­stivo” anche agli effetti civili, una regola abolita con Legge del 1977. Nel Salento, la ricorrenza in discorso contiene e abbraccia, pure, peculiari usi, costumi e consuetudini d’altro gene­re, datati e rigorosamente tramandati fra generazioni. In concreto, siffatto capitolo verte sulla preparazione e l’allestimento, in omaggio al Santo, di un pasto, meglio dire un pranzo, conforme e fedele a un menù tanto ricco, quanto indicativo. L’articolata gamma di piatti e pietanze, ivi compresi dessert e dolci, svaria non a caso, ponendosi anzi agli antipodi rispetto ai frugali e semplici pasti d’ogni giorno nella realtà e nella storia delle famiglie contadine, ma re­cando insieme, in pari tempo, un connotato morale, intriso e insaporito di generosità, considerazione, altruismo e rispetto nei confronti del prossimo, inteso specialmen­te nel senso dei più poveri. Presupposto basilare e di principio, è l’invito ad Ospiti, sempre in numero dispari, da un minimo di tre sino a tredi­ci, insieme ai quali condivi­dere il piacere e la gioia della mensa imbandita. Il tavolo intorno a cui sedere ha la denominazione specifi­ca, giustappunto, di Tavola di S. Giuseppe. Al centro della “Tavola”, ornata con fiori e ricoperta da tovaglie finissime, campeg­gia un quadro del Santo e, intorno, sono allineate grosse pagnotte ad anello, imprezio­site, al centro, da un’arancia.

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Ritornando al tema degli Ospiti o Santi, i primi tre, se­condo credenza, s’identificano con la Sacra Famiglia (Gesù, Giuseppe e Maria, quest’ul­tima deve essere una ragazza nubile). Quanto al menù e ai piatti, le voci principali sono:

– la “massa” (tagliolini di farina di grano, fatti in casa), cotta con ceci e teneri broccoletti di cavolo, servita dopo avervi sparso sopra i “frizzuli” (filamenti della stessa “massa”, fritti, quasi abbrustoliti, croccanti);

– cavoli lessi;

– cavolfiori fritti;

– pesce fritto (ope o pupilli) e/o, eccezionalmente, stoc­cafisso;

– lampasciuni;

– contorni a base di “chiappa­rate” e olive in salamoia;

– dolci (zeppole o altre spe­cialità).

È bello, sinonimo di genuina espressività, soffermarsi sul significato di alcune vivande;

– la pasta con ceci, rappre­senta, per i colori, il narciso, fiore primaverile;

– i lampasciuni, sono segno del passaggio dall’inverno alla primavera;

– il cavolfiore ricalca espres­samente il fiore posto alla sommità del bastone di S. Giuseppe;

– lo stoccafisso, s’identifi­ca come cibo delle grandi occasioni.

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Sono diversi i paesi del Sa­lento dove s’imbandiscono le “Tavole”, un bel numero di località è raccolto nell’area intorno a Otranto, da citare, ad esempio, Uggiano La Chiesa e Giurdignano. Nel sito web ufficiale del primo degli anzidetti Comuni, si legge che, compresa la frazio­ne di Casamassella, sono ben trentasei le famiglie devote che preparano la “Tavola”. Riti analoghi si svolgono anche in altre regioni d’Italia, particolarmente in Sicilia, nell’entroterra intorno a Enna (Aidone, Valguarne­ra Caropepe, eccetera). Da quelle parti, gli allestimenti portano il nome di “Tauli ‘ri San Giuseppi” ed espongono una fantasia coloratissima di portate, fra cui dolci tipici. Nella memoria di chi scrive, è vivo e nitidamente stagliato il tavolo (o mattra) di S. Giusep­pe che, sino a qualche decina d’anni fa, era preparato, più spartanamente in confronto alle descrizioni fatte prima, al paesello natio di Marittima. Il piccolo centro, allora, comprendeva una cappella intitolata al Santo, in corri­spondenza dello spazio dove, adesso, trovansi allestiti i giardinetti pubblici, dentro la quale si custodiva una bella statua in cartapesta della Sa­cra Famiglia. Che emozione, presenziare, il 28 aprile, festa del locale Santo Patrono, al “prelevamento” di tale simu­lacro, unitamente alle statue delle due Madonne (Imma­colata e di Costantinopoli o Maria Odegitria) conservate nel Santuario, e ammirarle sfilare in processione, dietro al Protettore, lungo tutte le vie dell’abitato! La “Tavola” maggiormente conosciuta era quella mes­sa su, per devozione, dalla famiglia di Trifone Mariano, un fratello del quale, don Vitale, aveva scelto di farsi prete, operando soprattutto nel Seminario arcivescovile di Otranto, ed era arrivato al gra­do di Arcidiacono e al titolo di Monsignore, quale Prelato Domestico di Sua Santità.

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Già dalla fine di febbraio, i ragazzi s’arrampicavano sulla collinetta appellata “Acqua­reddre” verso l’insenatura Acquaviva, incolta, dopo di che, fra piccole rocce e fazzo­letti di terra rossa, scavavano mediante uno “zappune” per cercare e raccogliere i lampa­sciuni. L’abitudine, si fa per dire campestre, alligna anche oggi, con la rimarchevole differen­za, però, che, chi la segue, si muove attrezzato di gravina, arnese lungo e sottile, girando per i terreni (di proprietà d’altri) e scavando buche cospicue, che, al termine dell’ispezione, si guarda bene dal ricoprire, con pericolo, per quanti si trovano a transitare in zona, di qualche storta o tombolone. Si vorrebbe finire le presenti note rievocative, con alcuni richiami speciali, sul versante religioso e di pura devozio­ne, intorno al Santo che ci occupa. S. Giuseppe è definito “patro­no degli agonizzanti e della buona morte”. Ciò, verosimil­mente, alla luce di come, in qualche testo, è stata descritta la personale morte del Patriar­ca: felicissimo transito, con l’assistenza di Gesù, di Maria e degli Angeli. Si sottolinea che, prima del suo pio transito, S. Giuseppe ebbe una “sublimissima estasi, in cui rimase per più ore” e, infi­ne, che, come gesto di grande amore verso la sua Sposa, la “lasciò raccomandata in modo speciale al suo Divino Figliolo”. Rivolgendosi all’ambien­te terreno, la Chiesa, fra i diversi significati, conferisce al concetto di “buona morte” l’immagine di un sonno paci­fico, alla stregua di quello di un fanciullo che s’addormenta sul seno di sua madre.  

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Displaying 2 Comments
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  1. Sara Mariano ha detto:

    Trifone Mariano era il mio bisnonno, la sua storia, quella dei suoi fratelli e dei suoi figli si è persa nel tempo e riposa con i miei antenati ed in ultimo mio padre nella tomba di famiglia a Trifone intitolata… Mi piacerebbe molto sapere di Trifone, di don Vitale (alla storia della mia famiglia conosciuto come “Zi Papa”) dei figli di Trifone (Settimio mio nonno), so solo ciò che leggo qui su internet…sarebbe bello poter risalire alla loro ed alla mia storia…alla storia della loro casa in Marittima, alla carriera ecclesiastica del mio pro pro zio don Vitale. Avete ulteriori notizie in merito?

    • webmaster ha detto:

      Buona sera, sig.ra Mariano, l’articolo è un po’ vecchio e la rivista ha da un po’ bloccato le pubblicazioni. Proverò a contattare una delle autrici e spero che metta sotto l’articolo una risposta alle sue richieste, Grazie di averci contattato.

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