LA CHIESA DI LECCE IN FESTA NELLA CASA DELLA COMUNIONE
UN IMPEGNO: CARITÀ FERIALE
Sorelle e fratelli miei carissimi, torni tra noi imperioso e irrinunciabile l’esercizio e la pratica della carità. Serve certamente quella dei grandi gesti di riconciliazione, di perdono. Noi però, nell’immediato e ogni giorno, abbiamo bisogno della carità feriale che superi diffidenze, angolosità, pregiudizi che lasciano inevaso il segno dell’amicizia cordiale, serena, sincera, ravvicinata, aperta alla stima e alla fiducia. A volte sembra che ci ignoriamo, non ci accorgiamo dell’altro, rimaniamo fermi al nostro blocco di partenza in attesa che l’altro… muova il passo per primo. Necessita tra noi una carità che genera e fa emergere una comunione che testimonia.
LA COMUNIONE È IL SEGNO
Fratelli miei presbiteri, non possiamo essere ministri e servi della comunione nella nostra Chiesa, se non ci esercitiamo continuamente nell’arte della comunione all’interno del presbiterio, convinti, come afferma Dietrich Bonhoeffer, che “la nostra comunione consiste solo in ciò che Cristo ha compiuto in me e nell’altro… Solo per mezzo di Cristo c’è e ci sarà comunione tra me e l’altro” (Vita comune,p.21). Vorrà essere questa comunione per me e per voi una scelta qualificante il nostro cammino giubilare? Lo sapete: c’è urgente bisogno di questa comunione/segno!
SCOPRIRE LE SOLITUDINI
L’anno giubilare della misericordia che l’ispirato Papa Francesco sta donando alla Chiesa, dovrà essere l’anno nel quale, come ho scritto nella lettera che questa sera consegno alla comunità diocesana, più che mai il nostro ministero dovrà evidenziare la bellezza e concretezza della misericordia con cui il Padre ha compassione dei suoi figli. A nessuno deve essere precluso l’ingresso nella casa del Padre: casa dell’amore, dell’accoglienza, della misericordia. Ricordo a voi e a me stesso l’impegno che mi assumo e ci assumiamo in modo solenne davanti a questa nostra Santa Chiesa e che ricordo nella conclusione della lettera che sto per consegnarvi laddove scrivo: “Ci sono tra noi a volte delle solitudini che tali non appaiono ma che pesano su molti anziani che vivono soli o in case di cura, di riposo e che, a dispetto delle cure loro prestate, sentono la mancanza di familiari, amici, di persone con cui hanno condiviso esperienza di vita, comunanza di interessi e di amicizie. Sarebbe un’opera di misericordia gradita e attesa una maggiore attenzione nell’essere a loro vicini. Con discrezione voglio ricordare ancora a tutti voi, cari fratelli presbiteri, la cura degli infermi. Spesso mi confessano il desiderio di vedere il loro parroco o i sacerdoti più presenti e vicini alla loro sofferenza. Sommessamente ma con profonda convinzione, ve lo ricordo ancora: non lasciamoci espropriare del ministero della consolazione dai ministri straordinari della santa Comunione! È un impegno che è nostro. I ministri solo ‘straordinari’. Supporto, aiuto, ma non sostituti di un ministero che è nostro. Ricordo e vi chiedo una maggiore presenza, vicinanza e attenzione ai confratelli anziani, ammalati, che avvertono il peso della solitudine e della nostra assenza! Desiderano soprattutto la presenza dei fratelli nel ministero al loro fianco… Aggiungiamo un tocco nuovo nello stile dell’accoglienza di quanti vengono a noi per le più disparate ragioni. Dobbiamo in qualche modo far toccare con mano il volto dell’amore, della tenerezza, della misericordia di cui siamo ministri, servi, testimoni. Chi viene a noi non sempre troverà la risposta che attende e desidera. Molte volte ci sono i nostri no. Dobbiamo saperli non solo motivare – è ovvio – ma dirli con serenità, attenzione, amabilità, dolcezza, rispetto”. (in Contemplare il… pp.37-38)