Compiti a casa/Sempre molti o spesso inutili?
Strategie/Esistono una molteplicità di approcci idonei a supportare, nel perimetro scolastico, anche lo studio personale. E se si capovolgessero le fasi dell’apprendimento?
I compiti a casa: uno dei capisaldi tradizionali della scuola. Oggi c’è chi si lamenta che siano “troppi”, che impegnino i bambini per molto tempo, che siano inutili. La soluzione proposta? L’invito, rivolto agli insegnanti, a “darne di meno”. Come spesso avviene in ambito educativo e scolastico, anche in questo caso un problema complesso viene affrontato e risolto con semplificazioni che nulla hanno a che vedere con le criticità. Quello che si omette di considerare è, probabilmente, che il tema in esame è correlato a variabili più articolate, relative al modello didattico che, nella scuola, organizza i processi di insegnamento-apprendimento. I compiti a casa sono l’espressione del modello didattico trasmissivo che, in modo più o meno consapevole, vige nelle nostre scuole. Esso, in termini sintetici, si fonda sul criterio per il quale l’acquisizione e la verifica della conoscenza avvengono “in classe”, mentre le operazioni utili a consolidare gli apprendimenti dei contenuti debbano essere svolte “a casa”. Questo implica che i compiti a casa sono necessari fino a che nelle classi vige tale modello didattico e che, di conseguenza, per ridurre il carico di lavoro che i ragazzi devono svolgere tra le mura domestiche, si rende necessario modificare l’impianto attraverso il quale la scuola promuove l’acquisizione del sapere.
Vanno in questa direzione i modelli didattici e gli approcci metodologici ispirati al principio della classe capovolta, il quale si fonda sul tentativo di invertire (di “capovolgere”, appunto), la sequenzialità tradizionale tra acquisizione della conoscenza e consolidamento degli apprendimenti. In particolare, il modello in questione prevede che il momento di acquisizione del sapere avvenga fuori dalla classe (cioè “a casa”), mentre il processo di consolidamento degli apprendimenti, si svolga in classe. Questo vuol dire che l’attività tradizionale di “studio”, quella, cioè, che si eplicava nei compiti a casa, venga svolta a scuola con metodologie specifiche e sotto la supervisione del docente, mentre il momento di reperimento dei dati (sempre su specifiche consegne del docente) avvenga, invece, a casa, sfruttando le abilità, gli interessi, le inclinazioni proprie di ciascun allievo. L’“inversione” dei momenti strutturali dell’apprendimento produce, in questo modo, non soltanto una riduzione sensibile del tempo che gli allievi impegnano nello svolgimento delle consegne scolastiche, ma anche una diversa attivazione delle risorse personali investite nell’esecuzione dei compiti. La trasformazione più rilevante operata dal modello in esame, si può ravvisare nel transito da impianti didattici trasmissivi, fondati essenzialmente sul processo di assimilazione della conoscenza, a impianti didattici attivi, incardinati su processi di costruzione, problematizzazione e personalizzazone dei saperi. Sul piano metodologico, si possono individuare una molteplicità di approcci idonei a supportare, nel perimetro scolastico, il processo in esame. Essi sono riconoscibili, ad esempio, nelle metodologie ispirate al Coopoerative Learning, all’apprendimento significativo, alle dispisizioni della mente, alla didattica laboratoriale, agli Episodi situati di apprendimento.