Pubblicato in: Lun, Dic 21st, 2015

A Betlemme il Figlio Dio e… L’Icona della Famiglia

Le Rappresentazioni e le realizzazioni domestiche, strumenti di evangelizzazione. 

ANTICA ICONOGRAFIA/GLI INSEGNAMENTI DI EFREM IL SIRO 

“Mentre dunque succhia­va/il latte di Maria,/ era lui a far succhiare/vita all’universo./ E mentre abita­va/nel grembo di sua madre/ nel suo grembo abitavano/tut­te le creature”. Recita così un antico inno che Efrem il Siro compose nel IV secolo (Nati­vità IV, 153-154) offrendoci il mistero della vera umanità del Figlio di Dio e della verginale maternità di Maria. Anche l’antica iconografia presenta la Madre di Dio nell’atto di porgere il seno al Bambino teso verso di lei. Probabil­mente, poeti ed artisti si sono lasciati ispirare dall’apostolo Pietro che, nella prima delle sue lettere, stimola i credenti: “… rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla Parola di Dio viva e vera…. bramate il puro latte spirituale”. La realtà della vita, celata nel segno del latte e del sangue, contraddistingue le feste del Natale e della Pasqua. I cri­stiani si nutrono del latte della Parola e del sangue dell’Euca­restia. Ogni Natale è pasqua ed ogni Pasqua è natale. Il Natale ci ricorda che nel mistero della sua incarnazione Cristo ha ini­ziato il suo passaggio-pasqua in mezzo alla nostra storia e si è offerto a noi come Verbo incarnato.

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Nella Pasqua di morte e resurrezione, donandoci la sua carne e il suo sangue, segna la nascita-natale di una vita nuova per l’umanità alla quale egli si è dato in sacrificio. Sempre egli si dona come cibo. E nell’atto del mangiare e del nutrirsi il cristiano raggiunge la piena comunione con il suo Signore. Nella seconda parte della strofa riecheggiano, invece, la teologia giovannea e paolina. “Nel suo grembo abitavano tutte le creature” è come dire, con il discepolo amato: “Senza di lui niente è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita” (Gv 1, 3-4) o con l’apostolo delle genti: “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui e tutte sussistono in lui” (Col 1, 16-17). La festa del Natale ci invita a ritro­vare in Dio e nel suo amore misericordioso il grembo della nostra ri-nascita filiale. Tutta la fede cristiana, dunque, è mistero di rigenerazione e filiazione. Nella Pasqua come nel Natale Cristo ci mostra il suo essere Figlio e ci dona il nostro essere figli. Riconoscere nel bambino di Betlemme il Figlio Unigenito non è meno facile che riconoscerlo nell’Uomo della croce. Nella mangiatoia e sulla croce egli è Figlio. Tra le bestie o tra i malfattori egli rivela la sua divinità. E Maria, Madre e Figlia, nella stalla o sul Golgota, era sempre lì a raccogliere le prime stille del latte e del sangue.

Vincenzo Martella 

I SIMBOLI DEL PRESEPE/CHE COSA INSEGNA QUELLA CAPANNA 

Mentre il Natale si avvicina e nelle maggior parte delle case ci si affretta con gioia a preparare il tradizionale presepe, alcuni, nella nostra beneamata Italia, si chiedono se sia giusto esporre questo segno distintivo della nostra tradizione cattolica al fine di non ledere la sensibilità dei pochi che non professano la nostra stessa fede. È doveroso partire da una premessa: non per forza occorre omologarsi alla mentalità consumistica che vede nel tempo natalizio un momento propizio per lan­ciare determinati messaggi. Per il cristiano, vivere questo tempo vuol dire innanzitut­to prendere coscienza dello “scandalo” amorevole che provoca l’avvento di un Dio che per amore sceglie di farsi bambino, povero, umile. Accogliendo questa scon­volgente verità, ciascuno è chiamato a riscoprire il significato del presepe, inteso quale luogo da contemplare, quale strumento di riflessione e veicolo di messaggi sani e belli per la vita spirituale di ognuno. Dinanzi alla capanna di Bet­lemme occorre aprire gli occhi e con stupore grande lasciarsi interpellare sul modo di vivere la fede: i personaggi ci riman­dano alla essenzialità e alla sobrietà, quasi a volerci dire che per accogliere il Signo­re che viene bisogna essere concreti, scevri da fronzoli e aperti alla venuta della grazia. Da Maria e Giuseppe si ricava la capacità dell’abbandono di­nanzi al progetto di Dio, l’arte del silenzio anche quando i disegni del Creatore appaiono incomprensibili.

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Il cristiano è colui che nel buio della notte, sostenuto dallo Spirito, si apre ad esso, permettendo a Cristo di essere generato ancora nelle esisten­ze di ogni uomo. Il Bambinello, invece, scuote e incoraggia, richiede una attenta verifica della propria esistenza: Dio non attende che sia l’uomo a cercarlo ma è Lui, che nelle sembianze di un infante, si fa incontro all’uma­nità peccatrice per chiamarla a vita nuova. Due particolari del presepe, quasi mai ritenuti importanti, sono fonte di sintesi: i pastori e la cometa. I semplici e i puri, gli insi­gnificanti e i disprezzati dalla società sono i primi ad vedere la rivelazione di Dio in quanto liberi da qualsiasi pregiudizio e dunque pronti ad accogliere la grazia del Cristo: solo cosi si può essere stelle luminose in grado di indicare al mondo la presenza del Salvatore che passa sulle strade frastagliate della storia umana. Perché allora fare il presepe? Perché nessuna catechesi po­trebbe essere così persuasiva e immediata quanto quella che promana dalla Santa Famiglia.

Federico Andriani

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