Issr di Lecce/Santa Maria di Amito… Il Rifugio dei Monaci
Una Tesi di Laurea in Scienze Religiose di Giovanni Mastria. un toscano che ha deciso di ridare vita ai ruderi dell’Abbazia.
Chiudere gli occhi, andare indietro nel tempo, molti secoli fa e lasciarsi andare tra realtà e fantasia: immaginare i ritmi della vita, le emozioni, la fede del tempo. Le preghiere del passato come un’eco giungono sino a noi, fanno venire ancora i brividi nella condivisione di una fede vissuta nella semplicità e autenticità, di un passato ancora vivo, affascinante, carismatico. Queste le emozioni più immediate, comuni, che l’uomo vive dinanzi all’incanto delle abbazie: un racconto di preghiera, arte, lavoro. Se invece di osservare una bellezza architettonica rimasta intatta nel tempo, ci trovassimo di fronte a mura diroccate, ruderi, rovine che, in un immobile e religioso silenzio, sembrano richiamare l’uomo al suo mancato senso di responsabilità, quale sarebbe la nostra prima reazione? E le nostre prime sensazioni? Sant’Agostino insegna che “la speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio per cambiarle”. Sdegno e coraggio che hanno spinto Alberto Brunelli, di origini toscane, a ridare vita ai ruderi dell’abbazia di S. Maria di Amito, ormai in stato di abbandono totale, priva di ogni protezione murale, destinata a scomparire del tutto.
Un incontro casuale quello con l’abbazia, una pura coincidenza durante un soggiorno estivo nel Salento nel 2000 circa: “rientrando dal mare in un tardo pomeriggio di agosto […] il suo sguardo si è soffermato sui ruderi dell’antica abbazia, rimanendone affascinato e attratto dalla bellezza del paesaggio […], accarezzando l’idea di acquistare l’intero complesso abbaziale (concretizzatosi nel 2006) con il proposito di ridare a questo monumento del passato la dignità negata”. Non solo: la storia di quest’abbazia, dalle origini sino ai nostri giorni, è il cuore della ricerca finale per la laurea magistrale in scienze religiose di Giovanni Mastria, dal titolo “I monaci greci nel basso Salento. L’abbazia di S. Maria di Amito”. L’elaborato si apre con una citazione di Gregorio Penco, uno degli storici più autorevoli della storia del monachesimo: “Talvolta può capitare a chi viaggia di imbattersi lungo il percorso nei resti di qualche abbazia e di chiederne informazioni e notizie a persone o a libri. Alla sorpresa della scoperta segue spesso, infatti, l’interessamento curioso verso un mondo che si riteneva definitivamente scomparso, lontano dalla vita quotidiana dove dominano altri ideali e altre realtà. Ripreso il viaggio, nella maggior parte dei casi quell’incontro si trasforma in un lontano, opaco ricordo; a qualcuno però può succedere che l’interesse acceso da quella sorpresa divenga più profondo […] e si voglia estendere ad altre abbazie, e magari giungere a una visione d’insieme di tutto il fenomeno monastico”.
Infatti, il primo capitolo della tesi offre un approfondimento del monachesimo nel basso Salento, sottolineandone l’importanza per lo sviluppo sociale-culturale del nostro territorio. Affronta le vicende del fondatore del monachesimo basiliano, della migrazione dei monaci, circoscritte in tre momenti principali: da Oriente verso Occidente, con conseguente diffusione delle idee monastiche; le vicende del monachesimo italo-greco durante l’età medioevale e quella moderna; la costruzione nella nostra terra dei primi cenobi bizantini. La parte centrale del lavoro focalizza l’attenzione sull’antica abbazia di S. Maria di Amito. Tale ricostruzione, per la scarsità e frammentarietà dei documenti, è stata possibile solo attraverso lo studio sistematico delle fonti edite, di quelle archivistiche e di antichi manoscritti. L’abbazia fu edificata intorno all’anno Mille dai monaci basiliani, detti Calogeri, già presenti nel Salento tra il IV e il V secolo ed è situata a nord-est di Tricase. Per difendersi dalle incursioni dei turchi, fu costruita, attigua all’abbazia, una torre di difesa. L’abbazia visse un periodo fiorente tra il XIV e il XV, rimase attiva fino alla metà del Seicento; nel 1698 fu trasformata in masseria e nel 1878 sconsacrata a causa del degrado in cui era ridotta la chiesa, ubicata all’interno della masseria del Mito sino a che l’insensata incuria dell’uomo ha ridotto un centro di fede e di cultura a ruderi e a pietre. La svolta nella storia contemporanea. La bibliografia locale testimonia varie denominazioni del cenobio: S. Maria di Amito, S. Maria del mito, de Lo Mito, San Tommaso, etc. Il toponimo “mito” deriva dal nome della serra collinare, su cui sorge la struttura. La carenza di fonti storiche non ha reso possibile una ricerca accurata e dettagliata della vita di questo monastero, anche se nel corso dei secoli illustri studiosi salentini, tra i quali il Tasselli, il Tanzi, l’Arditi, il Ruotolo, hanno cercato di dar luce ad una storia ancora avvolta nell’oscurità. Non solo, la già triste storia dell’abbazia è stata inasprita dall’“infelice idea” di far passare la strada provinciale salentina 313 proprio sul sito archeologico, smembrando e tagliando in due l’intero complesso abbaziale.
Lo stemma dell’Abbazia di S. Maria di Amito. Il blocco lapideo dello stemma è costituito da una lastra calcarenitica di cm.75×50, eseguito ad altorilievo nella parte figurata e inciso in quello che riporta l’epigrafe
E di qui il paradosso: le ruspe sono arrivate a lambire il muro perimetrale della chiesa Madonna del Mito contribuendo al crollo definitivo della chiesa, che sino al 1964 era ancora recuperabile. L’epilogo di quest’opera “dis-umana” ancora più incomprensibile; a seguito della costruzione della strada provinciale, questo importante sito archeologico, privo di mura perimetrali e di qualsiasi forma di custodia, è stato continuamente violato, defraudato del racconto che avrebbe consentito di rievocarne il percorso storico: basolati, colonne, capitelli, anfore, conci di tufo. Trafugati! Blaise Pascal direbbe che “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce” e sono, fortunatamente, proprio le ragioni del cuore che hanno portato Alberto Brunelli ad un paziente e lungo lavoro di rilievi architettonici, di studi e scavi archeologici e restauri. I lavori di scavo archeologico, sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, iniziati il 4 ottobre 2010 per una durata di ventuno giorni, hanno interessato l’area antistante al rudere della chiesa. I materiali raccolti con lo scavo stratigrafico hanno arricchito i dati su questo sito, noto nella letteratura storica come sede di un’abbazia con relativo scriptorium sorto tra il IX e il X secolo ad opera di monaci italo greci, che fu uno dei più importanti centri di formazione e di diffusione della cultura nel panorama del Salento medievale. Durante gli scavi sono state rinvenute nove tombe sepolcrali, una cisterna all’interno della quale sono state trovate cinque monete d’argento e una d’oro di epoca normanna e sveva.
Frammento di un affresco rinvenuto sul lato ovest della parete della chiesa
Molto interessante è stato il rinvenimento di un silo usato, probabilmente, prima come granaio, poi riutilizzato come ossario. Sul fondo è stata recuperata una lastra in pietra calcarea di forma quadrangolare, sulla cui superficie è incisa una circonferenza divisa in dodici settori, ciascuno dei quali contraddistinto da una lettera dell’alfabeto greco. La relazione dell’archeologa Paola Tagliente afferma che tale oggetto, per le sue caratteristiche e per alcuni confronti con simili manufatti rinvenuti in altri contesti abbaziali, sia interpretabile come astrolabio, oggetto di una certa rarità nel panorama archeologico del Salento medievale. La conclusione di questo studio ci ricorda che la nostra terra, il Salento, è stata, per un lunghissimo periodo, crocevia di tradizioni e d’intrecci culturali, ponte tra Oriente e Occidente. Nell’era della globalizzazione, dell’omogeneizzazione degli stili di vita, dei comportamenti culturali e anche dei valori di riferimento, è necessario fermarsi e riscoprire le nostre radici, per meglio cogliere il valore dei luoghi del cuore. Il ῾Mito’ era lì una sera, fermo come sempre, privato e derubato dei suoi beni, era lì che aspettava Alberto, nessuno lo voleva […]. Invece per Alberto, è iniziata la grande storia, la storia con il ῾Mito’.