Pubblicato in: Gio, Ott 29th, 2015

Al Sinodo come alle Nozze di Cana: “Quando il vino ‘è sembrato mancare la docilità dei servi ha permesso il miracolo’”

A colloquio con il Vescovo Marcello Semeraro, membro della Commissione Sinodale per l’Elaborazione della Relazione Finale. 

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“La morale delle virtù, per sua parte, intende fare propria la pedagogia evangelica che mira all’ albero’ prima che ai frutti, nella convinzione che se l’albero (ossia la persona e la sua libertà) è buono, anche i frutti (le azioni) lo saranno (cfr. Mt 7)”. 

Semeraro

“Era necessario, per quella realtà così preziosa e fragile che è la famiglia scegliere parole buone, parole di cura, che aiutano a cambiare la vita”. 

“Un testo di am­pio respiro e segnato dalla makrothymía, ossia dalla ca­pacità di guar­dare e sentire in grande”. Non usa giri di parole mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano e membro della Commissione per l’Elaborazione della “Re­lazione finale”, per definire il documento conclusivo del Si­nodo, approvato in tutti i suoi 94 paragrafi da una maggio­ranza qualificata. “Seguendo la suggestione dell’intervento di un vescovo letto in aula – aggiunge Semeraro – parago­nerei il Sinodo appena termi­nato alle nozze di Cana dove il vino, che è motivo di gioia, è sembrato, talvolta, mancare e ciò ha destato dell’ansia. Però, la docilità dei servi alla parola di Gesù, di riempire nonostante tutto le anfore con acqua, ha reso possibile il mu­tamento”.

Eccellenza, quali sono i passaggi principali della Relazione finale?

Più che ‘passaggi’, indi­cherei alcuni atteggiamenti, che se pure tornano special­mente nella terza parte della Relatio, tuttavia la segnano profondamente per tutto il suo svolgersi. Sono quelli de­scritti con i termini di discer­nimento, accompagnamento e integrazione. Queste tre paro­le attraversano l’intero docu­mento e si richiamano l’una l’altra.

Il testo approvato è solo frutto di un buon compro­messo oppure è indica­tore di quel “camminare insieme” tanto auspicato dal Papa?

In origine il termine ‘com­promesso’ indicava un impe­gno condiviso. Sotto questo profilo la Relatio mi pare un testo nel quale almeno una maggioranza qualificata si è ritrovata.

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Su alcuni punti (numeri 84-85-86), che trattano del “discernimento e integrazione” dei divorzia­ti risposati il numero dei non placet, però, è cre­sciuto…

A me pare che la ragione sia nel fatto che essi implicano un passaggio molto importan­te: dalla morale dei comanda­menti alla morale delle virtù. In breve, nella prima il sog­getto sembra essere valutato come un produttore di atti se­condo la legge e la coscienza pare considerata prevalente­mente come facoltà di notifica e di applicazione della legge. La morale delle virtù, per sua parte, intende fare propria la pedagogia evangelica che mira all’‘albero’ prima che ai frutti, nella convinzione che se l’albero (ossia la persona e la sua libertà) è buono, anche i frutti (le azioni) lo saranno (cfr. Mt 7). Nella Relatio si leg­ge pertanto: ‘Il Vangelo della famiglia nutre pure quei semi che ancora attendono di ma­turare, e deve curare quegli alberi che si sono inariditi e necessitano di non essere tra­scurati’ (n. 50).

Pare di capire che lo “sguardo” più che al det­taglio sia stato indirizza­to verso l’ampiezza del tema della famiglia…

Considererei il testo da tre prospettive. Per la prima userei la parola fragilità. La sua etimologia ci riporta a qualcosa che può rompersi o essere rovinato, ma pure a ciò che è prezioso e perciò merita di essere custodito e curato. Ora, nella prima parte la Re­latio si accosta alla famiglia proprio in questa prospettiva: è ‘grembo di gioie e di prove’, attraversata dalla crisi ma pure oggetto di speranza e di speranze. Indico l’altra pro­spettiva con la parola sguar­do. Anche questo è un termine ricorrente. Chiediamo a Lui uno sguardo guarito e salvato, che sa dif­fondere luce, perché ricorda lo splendore che lo ha illu­minato’. Uno sguardo sulla fragilità, infine, esige conna­turalmente la scelta di parole fragili. Un proverbio africano recita che la ferita provocata da una parola non guarisce! Era, dunque, necessario, per quella realtà così preziosa e fragile che è la famiglia sce­gliere parole buone, parole di cura, che aiutano a cambiare la vita. Lo spot televisivo di un famoso registratore degli anni Ottanta faceva vedere l’im­magine di una notissima can­tante jazz che con la potenza della sua voce frantumava un bicchiere di cristallo. I padri sinodali, però, non erano sta­ti convocati per produzioni di questo tipo. Invece di essere quei ‘cooperatori del disa­stro’, di cui parla il profeta (cfr. Zac 1,15), hanno preferito, come dice Paolo, essere ‘coo­peratori della gioia’ (cfr. 2Cor 1,24).

Le parole conclusive del­la “Relatio” prospettano un possibile documento del Papa. Conoscendo Francesco, pensa che ci sarà?

La formula cui la Relatio ha fatto ricorso nella conclu­sione appartiene allo ‘stylus’ dei documenti sinodali. Così fu per il Sinodo dell’ottobre 2012, chiuso con la conse­gna a Papa Benedetto XVI di 58 Propositiones. France­sco, il nuovo Papa, pubblicò poi l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, ma non vi fece apporre l’intitolazione ormai invalsa di ‘postsinoda­le’. Nel nostro caso la formu­la stereotipata ritorna, ma alla fine del documento e con un chiaro rimando all’inci­pit della costituzione Lumen Gentium. Francesco ci ha già donato una serie di catechesi e la famiglia gli sta davvero a cuore. Il Sinodo appena concluso, peraltro, non segna una conclusione, ma un nuo­vo inizio.

Vincenzo Corrado

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