Pubblicato in: Sab, Dic 5th, 2015

Erano Famosi/Francesco Tarantino… Su due ruote, in gara con i grandi campioni

Salentino classe 1930, ciclista appassionato ancora in sella.

“Ho conosciuto tanti campioni come Baldini, Fantini, Bianchini, il campione del mondo Müller, conscio dell’abisso che ci separava, mi faceva piacere, comunque, gareggiare insieme. Per non parlare della soddisfazione di partire assieme a loro”. 

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“Il mio obiettivo era di elevarmi culturalmente e socialmente attraverso lo sport, essere accolto in contesti culturali di un certo livello. Poi, senza presunzione, non mi dispiacque anche la notorietà, avevo un discreto numero di tifosi”. 

Francesco Taran­tino, classe 1930, ciclista incarnato, non si sente per nulla arrivato anzi conserva la sua verve e ad ogni gara riesce ancora ad emozio­narsi come un tempo. Tanto da dire, tanto da raccontare, troppo da fare. Una vita abbastanza di­namica nel mondo dello sport della quale ancora non è stato scritto l’epilogo.

Gara 2

Gara – 07 ottobre 1953

Il Dirigente Sportivo racconta parte della sua esperienza: tra la fatica di essere un professionista, i sacri­fici per andare avanti in tempi di magra, la sua corsa verso la ma­turità e l’amore per la bici. Un uomo maturo ma dall’animo di un fanciullo che sullo sport ha tanto da insegnare e non solo in bicicletta. Uno sportivo a tutto tondo; una passione la sua che dura nel tempo.

Francesco, il ciclismo su strada è il tuo sport prefe­rito. Quand’è nata questa passione? Raccontaci i tuoi trascorsi sulle due ruote…

Ho iniziato ad accostarmi al ciclismo nel lontano ‘48-’49 ed ho corso fino all’età di 28 anni circa, poi mi sono dedica­to alle nuove leve. Il ciclismo è stato amore a prima vista e ho avuto grandi soddisfazioni fin da subito. Infatti, ebbi modo di osservare un po’ il lavoro del mio vicino di casa, il maestro Carlo Carlà, che costruiva ed aggiustava i velocipedi e, a quell’epoca, aveva l’officina su viale Gallipoili a Lecce, vi­cino all’ex Incis. Visibilmente interessato chiesi al maestro se poteva approntarmi una bici­cletta anche molto rudimentale poiché già sentivo accender­si in me una piccola scintilla. Ottenuto ciò che chiedevo co­minciai subito a pedalare ap­procciandomi alle prime gare anche se la mia bici non si po­teva paragonare a quelle degli altri. La prima gara fu sotto al Capo di Leuca non senza dif­ficoltà a cominciare dal fatto che il cambio, non appena in­cappavi in una buca, cambiava da solo ma comunque riuscii ad arrivare tra i primi. Da lì non mi fermai più, anzi mi as­sociai alla Società “Libertas” di Manduria grazie alla quale e per la quale ho ottenuto tanti successi. Come me c’erano al­tri che avevano voglia di metter­si in gioco e migliorarsi, alcuni erano patrocinati dai genitori altri invece, come me, ai genito­ri non potevano chiedere nulla, semplicemente perché non ave­vamo nulla, anzi non facevano altro che ripetermi di andare a lavorare come se la bici non fosse già un lavoro. Ricordo che mio padre non era tanto entu­siasta di me a parte quando il padrone della campagna dove lavorava non gliene faceva cen­no complimentandosi per i tro­fei che vincevo. Davanti a me non dava mai soddisfazione ma in fondo ne era orgoglioso.

Cosa ha rappresentato per te l’esperienza agonistica?

Il mio obiettivo era di ele­varmi culturalmente e social­mente attraverso lo sport, esse­re accolto in contesti culturali di un certo livello. Poi, senza presunzione, non mi dispiac­que anche la notorietà, avevo un discreto numero di tifosi che patteggiavano per me e mi so­stenevano. Spesso e volentieri correvo anche per loro. La so­cietà forniva tutto l’equipaggia­mento necessario per le gare. La società aveva però 5 titolari tra cui me. C’era il nostro dirigente sportivo ma al di sopra di tutto c’era sempre il Coni. Quest’ul­timo designava i concorrenti da convocare per una determinata competizione pagando loro tutte le spese. Il più delle volte si cer­cava di vincere per migliorarsi non per il premio in se per sé anche perché spesso e volen­tieri si trattava di 3 mila lire o giù di lì e di un calendario.

Gara

Gara Castel Del Monte – 22 settembre 1956

Hai avuto modo di correre assieme a dei professioni­sti?

Sì, ne ho conosciuti di campioni tipo Baldini, Fanti­ni, Bianchini, il campione del mondo Müller, conscio dell’a­bisso che ci separava agoni­sticamente, mi faceva piacere, comunque, gareggiare insieme. Per non parlare della soddisfa­zione di partire insieme a loro.

Che tipo di gare hai corso e vinto durante la tua carriera?

Avevo 19 anni e quindi per forza di cose rientravo nella ca­tegoria juniores e ricordo che ci fecero partecipare dappri­ma a Bari costeggiando tutto il lungomare, complessivamente 200 km. Al momento della vo­lata finale pur avendo lasciato tutto il gruppo indietro, non fui capace di raggiungere un altro che mi correva davanti, un certo Lotti di Sannicola che poi vinse il giro, pertanto io giunsi solo secondo. Ho partecipato a numerose gare ma era la Fe­derazione Pugliese che ci invi­tava. Sceglieva un minimo di cinque ciclisti e li inviava dove si svolgevano le gare. Ho corso a livello Provinciale, Regionale ed interregionale, dalla Sicilia alla Campania, ect. Indimenti­cabile fu il giro di Puglia e Lu­cania in sette-otto tappe, siamo sempre nel 1948. Ricordo che la prima tappa era da Barletta a Bari per una lunghezza com­plessiva di 151 km; la quarta da Trani a S. Giovanni Rotondo e la settima da Potenza a Foggia per una lunghezza complessiva di 163 km dove il vincitore teva raggiungere una velocità media di 32.468 km/h. Ho corso anche in Molise, al giro di Sici­lia, di Napoli e poi tutte le gare dell’hinterland pugliese e cala­brese. Tuttavia le difficoltà non mancavano come soprattutto il rischio di essere gettato a terra nel mezzo di una gara. Una vol­ta, mentre mi recavo al Giro di Foggia rimasi per strada senza benzina, per fortuna riuscimmo a fermare un camion, carico di materiali, che ci portò a Fog­gia. Fu una gara singolare, in 10 eravamo giunti da Lecce ma alla fine rimasi solo io in quan­to gli altri si ritirarono per ec­cesso di stanchezza, non erano i tempi di oggi, c’era la fame, ci si allenava tanto e si avevano poche occasioni per riposare e recuperare le forze. Mi capitò una sola altra volta anche a Ci­sternino. Rimasto solo tentai il tutto per tutto e riuscii a piaz­zarmi secondo, anche perché gli altri concorrenti mi si para­rono dinanzi per impedirmi di raggiungere il primo, non ave­vo la smania di arrivare primo e mi accontentai.

bari

II Classificato-Bari – 16 settembre 1955

La gara che ti ha emozio­nato di più?

Ho difeso per lungo tempo i colori della Provincia e portavo il mio paese con me ovunque mi recassi. Ero assai gettonato per numerose gare. E in tutti e 97 Comuni dell’hinterland leccese la nostra società fu la prima ad ottenere un trofeo. Grazie al su­dore e al sacrificio di chi come me ha pedalato con passione. Non posso non citare affettuo­samente il Trofeo San Pelle­grino di Monteroni del 1958 che mi ha assegnato un grande successo. Ma la gara che più conservo nel cuore come la più entusiasmante è stata certa­mente quella sul lungomare di Bari nel lontano 1955, eravamo davvero in tanti ed anche se non sono arrivato primo al traguar­do il vincitore mi ha abbraccia­to fraternamente pur essendo di un’altra società. Tanta fatica eppure tanta passione.

A proposito di soddisfa­zioni… cosa ricordi con maggior piacere?

Oltre al tifo a cui ho già ac­cennato non nascondo che era gratificante leggere il proprio nome sui giornali con i relativi commenti ed elogi che di vol­ta in volta ti tributavano. Però sono sempre stato schivo, non per falsa modestia ma non vole­vo che mi identificassero anche solo per farmi i complimenti, spesse volte mi nascondevo e mi tenevo lontano dalle ‘luci della ribalta’.

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S. Maria al Bagno-Quattrocolonne – 1954

Che tipo di corridore ti con­sideri?

Certamente uno sportivo d’altri tempi che tra non pochi sacrifici riusciva sgomitando a crearsi un posto tra i ciclisti professionisti, a divertirsi nel contempo. Ho fatto anche il contadino prima di intrapren­dere l’agonismo vero e proprio. Ogni occasione era buona per allenarmi, escogitavo tutti gli espedienti possibili anche in campo lavorativo pur di otte­nere il tempo libero da dedicare all’allenamento. Ne ho corsi di chilometri, troppi per soffer­marci a dire quanti. Eravamo persone che ci tenevano vera­mente, era palpabile la nostra passione, non vi erano interes­si reconditi ma al contrario lo sport ci formava. (Continua…) 

A cura di Christian Tarantino

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