Giacinto Urso/Una vita da protagonista per il Salento e per il Paese
Molte le riforme che in questo periodo, a volte verrebbe da dire anche affrettatamente, si sta cercando di realizzare. Paghiamo lo scotto di decenni di sonno o è giunto il momento di cambiare in ogni caso a tutti costi?
Un lungo sonno non è mancato. Va, però, ricordato che il Parlamento italiano, a più riprese, ha varato numerose Commissioni interparlamentari per la stesura di doverose riforme e per tentare di anticipare i tempi dell’incombente innovazione, legata anche alle trasformazioni che il tempo porta con sè. Purtroppo, tali iniziative non sono giunte a concretezza, ostacolate da dissidi di vedute politiche e da sfacciate, unilaterali convenienze. Il governo Renzi si è buttato a capofitto in un riformismo a vasto raggio, troppo galoppante, non sempre riflettuto, enormemente enfatizzato e scarsamente suffragato da necessaria ampia condivisione. Però, delle positività emergono ma anche delle frettolosità vistose e avventurose. Un po’ di prudenza in più e un maggiore coinvolgimento dei corpi intermedi e delle forze politiche, anche di opposizione, sarebbero state utili e salutari.
Intanto, la parola riforma sembra essere la cifra di questo momento storico. Anche la Chiesa parla di riforme per voce di Papa Francesco.
Il riformismo ha sempre attraversato la sequela dei secoli, portando con sé fortuna ma anche scompiglio. Il problema dei problemi è racchiuso nel come si riforma. Cioè il discernere quanto contiene avventura e quanto, invece profuma di presagio per compiere passi di avanzamento che sappiano scansare il permanente rischio di qualsiasi baratro, magari non voluto. Ben venga, allora, lo spirito riformatore. Beata la Chiesa che è presidiata dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo e da Papa Francesco. Un Pontefice ardito che viene da lontano per essere a noi vicino e per insegnarci la realtà di un mondo in frenetico cambiamento, che va capito e interpretato non per seguirlo ad occhi chiusi, ma per incamerarlo nell’ambito della fedeltà dei sacri, antichi principi inalienabili. Con in cuore l’ardente remora di una saggia gradualità che, praticata, sa scavare immensi effluvi di capacitazione, di possibile comune sentire e di intima gioia.
L’Italia è stato un Paese alla base autenticamente cattolico; oggi le molte istanze difficilmente inquadrabili in una struttura così orientata (divorzio, aborto, coppie di fatto, adozioni per coppie omosessuali) sembrano essere accolte, almeno in parte, anche dalla base cattolica. Il rapporto tra cattolicesimo e politica sociale italiana quale può essere al momento?
In proposito voglio solo dire – i temi richiamati sono scottanti e per me troppo ardui – che vanno raccolte le sfide da lei elencate e su queste da cattolici va sparsa misericordia, e, quando possibile, il perdòno con l’impegno di non subirli in quanto tali ma di affrontarli, amorevolmente, con l’ansia di illuminare le menti che non si tratta, come si ciancia, di conquiste di civiltà ma di atteggiamenti di singole persone, che vanno comprese non certo imitate, in vista di un mondo migliore da non consegnare alle singole voluttà, che – tra l’altro – avrebbero bisogno di non affidarsi all’appariscenza rumorosa delle loro scelte. Nessuna guerra, né armistizi ma ferma chiarezza dei propri convincimenti che non sempre possono essere mescolati o accettati.
L’Italia, a detta di molti, non sembra essere un Paese per giovani. Lei cosa ne pensa? Un Patto tra generazioni potrebbe far superare questo momento difficile? Se sì, che tipo di patto bisognerebbe “sottoscrivere”?
Potrei aggiungere, forse sospinto dai miei oltre 90 anni di età, che l’Italia non è un Paese nemmeno per vecchi. Lo scollamento generazionale in atto è un’amara realtà, densa d’incognite. È davvero insano aggiungere alle tante difficoltà in atto anche una specie di sorda conflittualità di ordine generazionale. I giovani devono comprendere che il futuro, che è loro, va costruito con priorità da loro stessi come avvenne nell’ultimo dopoguerra, quando furono aiutati dagli anziani, invocati per l’esperienza posseduta che si saldò all’audacia giovanile. Nell’oggi, invece, si reclama, a squarciagola, una ingiusta, sgarbata rottamazione dei vecchi, che di fatto produce soltanto incomprensioni e difficoltà di stipulare patti di necessaria coesione. La bella armonia pretende fusione di suoni, sia teneri che robusti.
Della sua vita politica cosa ricorda con maggiore piacere, come un successo e cosa ricorda con maggiore amarezza.
Quello di aver fermamente creduto, con operoso piacere, che la politica è missione oltre che un assoluto impegno verso l’uomo e verso Dio, accogliendo appieno il richiamo del profeta Geremia: “Guai ai pastori di Israele che pascolano se stessi”. Perciò, per me la politica che vale è quella rivolta alle persone e non quella rivolta alla persona, immedesimata nel proprio avere. Non per nulla Paolo VI l’ha definita “la forma più esigente, più crocefissa, più organica dell’esercizio della carità”. Così, il Servo di Dio, Vescovo don Tonino Bello, nostro comprovinciale – illuminato di uno splendido passaggio dell’enciclica “Gaudium et Spes” – l’ha elevata ad “arte nobile, difficile, perfino mistica”. A queste altezze, nei miei 65 anni di impegno politico-amministrativo non sono stato capace di giungere. Ho tentato di avvicinarmi ma penetrante resta la mia amarezza nel constatare che potevo fare di più e di meglio rispetto al compiuto. Molto devo al sostegno silenzioso della mia amata Rosaria, immenso dono, volato al Cielo e tutt’ora angelo custode.
Che ne pensa dell’attuale diaspora dei cattolici in politica?
Da sparpagliati, rischiano, se non si svegliano, l’insignificanza, anche se non sono assenti. Peccato che spesso scordino di essere stati, da protagonisti, dopo la quasi morte della Patria, anni 1940 del secolo scorso alfieri di libertà, di ricostruzione morale e sociale, fieri comprimari nella stesura della Costituzione della Repubblica. In più, non si accorgono che il mondo d’oggi è insipido, soprattutto in politica, perché i cristiani producono poco sale evangelico a beneficio della vita pubblica. Questo angustia e pretende riparo per ampliare e rifinire l’autentico bene comune, oggi scarsamente venerato. Non è lecito, al buon cristiano licenziare in sé la passione civile.