“I Preti di Puglia…. Pastori che profumano di popolo”
Quali saranno i pilastri della Traccia formativa nel nuovo anno del Seminario Regionale di Molfetta?
Sarà essenzialmente uno: la cura della nostra umanità, che, come la Pastores dabo vobis chiede, sia libera, forte e responsabile, in vista della cura pastorale da assumere. La traccia ha un titolo evocativo: “Per far fiorire l’umano dal giardino dell’Eden al pozzo di Sicar”. L’umano non è la parte negativa di noi stessi, ma quello che noi siamo, con desideri di infinito e limiti contingenti. Il Cristo Salvatore assume i tratti della nostra umanità, li rende veri, li redime e trasfigura.
Nel formare e “costruire” i preti di domani in quale misura e in che modo vi lasciate “influenzare” da quelle che sono le sfide sociali e culturali della modernità?
Quelle sfide non sono fuori di noi, ma dentro di noi, perché noi educatori e i seminaristi siamo persone del nostro tempo. Questo è un bene, perché ci fa sentire compagni di strada dei nostri contemporanei; ma si può trasformare in un male se non ci sentiamo umili portatori di una “vita differente”, quella del Vangelo. La sfida più grande della nostra epoca, secondo quanto anche qualche studioso afferma, e quello che noi stessi verifichiamo, è la mancanza di senso della paternità, che è un rinunciare alla responsabilità propria del padre che genera, accompagna, diventa punto di riferimento e poi lascia partire verso il futuro i propri figli. Dobbiamo riscoprire questa dimensione dell’umano.
Qual è il modello di prete che si attendono le Chiese pugliesi?
Quello di un “pastore che profuma di popolo”, che è pro prio della nostra tradizione di gente che ama l’agorà, la piazza, il luogo della vita e dell’incontro. Abbiamo un modello che il Signore ha posto sul nostro cammino: don Tonino Bello; e come lui tanti presbiteri che in silenzio e lontani dai riflettori hanno vissuto questo stile. Quel prete non solo sta con la gente, ma ha mani che “grondano crisma”, cioè portano ovunque il profumo di Cristo.
Quali sono i fondamenti della formazione pastorale del futuro prete pugliese? Crede che sia esaustivo il “tirocinio” parrocchiale?
I fondamenti sono la chiarezza dell’identità del presbitero, uomo della Parola, servo della comunità, che raduna attorno all’Eucaristia. È una identità che dà il primato all’annuncio del Vangelo perché essi siano la via che porta a comprendere la bellezza e la verità dei Sacramenti. Il seminarista costruisce il suo futuro attorno a questi due pilastri che fanno il suo essere prete. E poi una identità ecclesiale, che colloca il presbitero nel popolo di Dio accanto agli altri presbiteri e ai laici, da considerare fratelli e corresponsabili nella vita pastorale. Credo che il tirocinio pastorale sia un momento della formazione, anzi una verifica di come un giovane sta crescendo, ma ovviamente questa dimensione va messa in relazione con le qualità umane, spirituali e culturali. Non si tratta di aumentare il tempo del tirocinio, ma di renderlo più qualificato ed armonico con tutto il resto della formazione.
Pagine a cura di Vincenzo Paticchio