Il Natale del Rettore/“La falsa omologazione non è segno di modernità”
Esclusivo/A colloquio con Vincenzo Zara, la più alta autorità dell’Università del Salento: Per l’affermazione dei valori più importanti di ogni essere umano è richiesto un impegno in prima persona. la generazione di una nuova umanità comincia da se stessi.
“Questo è un periodo della mia vita che mi sta insegnando tantissimo, e che sono certo mi porterà a maturare un’esperienza e una consapevolezza non possedute prima. Dopo vorrei fare tante altre cose: mi appassiona cambiare”.
“I principali risultati sono: una maggiore serenità nelle attività della comunità universitaria, la crescita del numero delle immatricolazioni, una maggiore apertura al territorio come coinvolgimento diretto dell’Università nelle esigenze della società”.
Magnifico, lei è in carica da due anni: anche se è ancora un po’ presto per fare bilanci definitivi, qual è la Sua valutazione su questo primo biennio da Rettore?
In questo primo biennio sono anzitutto dovuto entrare nel “ruolo” di Rettore: il sistema universitario, sia a livello locale che nazionale, è molto complesso e quindi occuparsi della sua gestione, promuovendo linee di indirizzo politico-strategico, è tutt’altro che semplice. Il ritmo è serrato e tantissime scadenze si susseguono giorno dopo giorno; in questo contesto sembra che quanto più velocemente si fanno le cose, e quante più se ne fanno, tanto più si è produttivi e tanto meglio procede l’Università. Il mio sforzo è stato perciò quello di selezionare gli aspetti che richiedono la giusta e la dovuta attenzione da quelli che, invece, sono ordinaria amministrazione e che, comunque, richiedono tempo e energia. Credo che i principali risultati di questo primo periodo siano una maggiore serenità nelle attività della comunità universitaria, la crescita del numero delle immatricolazioni ai corsi di studio dopo un pericoloso trend negativo, l’istituzione di nuovi corsi di studio (tra cui quelli a doppio titolo o a titolo multiplo con Atenei stranieri), una maggiore apertura verso il territorio non solo intesa come trasferimento tecnologico ma anche come coinvolgimento diretto dell’Università nelle esigenze e nei bisogni della società. È stata anche avviata una riflessione molto attenta sulle missioni fondamentali dell’Università sotto forma di conferenze di Ateneo sulla didattica, sulla ricerca e sulla terza missione. Abbiamo infine avviato le opere di realizzazione di nuovi edifici e di manutenzione di quelli esistenti grazie alle ingenti risorse del Piano per il Sud, ed è iniziata una seria opera di razionalizzazione delle nostre società partecipate.
Se dovesse scrivere il “decalogo del buon Rettore”, quali sarebbero le caratteristiche che il governatore dell’Università dovrebbe avere?
Anzitutto la pazienza associata a un grande equilibrio, per poter reggere l’impatto delle tantissime problematiche che ogni giorno si presentano in maniera spesso bile. Poi capacità manageriali classiche, nel senso di guida di sistemi complessi, ma associate a una buona dose di visione strategica che, nel mio caso, si traduce anche nel mantenere inalterata la voglia di “sognare in grande”, non arrendendomi di fronte alle difficoltà medio-grandi che inevitabilmente si presentano. Inoltre un buon Rettore, a mio parere, dovrebbe conoscere bene il contesto normativo in cui gli Atenei sono costretti al giorno d’oggi a muoversi, per evitare di programmare cose sbagliate o con metodologie inadatte allo scopo. Questo significa aggiornamento continuo e necessità di partecipare spesso a riunioni in consessi nazionali per “fiutare” in anticipo le tendenze ministeriali o comunque “centrali”. Infine ottime capacità relazionali, perché mi rendo conto che in alcune situazioni contano più le relazioni che i contenuti e le visioni strategiche.
Ci si rivede in queste caratteristiche?
Abbastanza, anche se è difficile dosare tutte queste caratteristiche nel modo migliore. Talvolta la pazienza salta e le capacità relazionali anche, soprattutto quando ci si scontra con un sistema in cui l’approssimazione, l’inadeguatezza allo scopo di certe presunte professionalità, e soprattutto gli aspetti di facciata più che quelli di sostanza, la fanno da padrone.
Da tempo promuove il rapporto tra Università e Territorio, quali sono i vantaggi e quali gli ostacoli nel sostenere questa sfida?
È questa forse la sfida più affascinante, in quanto ci si rapporta al Territorio in senso generale con tutte le sue sfaccettature e contraddizioni. Due mondi così diversi che provano a dialogare sono senz’altro un banco di prova per comprendere come l’Università stessa sia percepita dai cittadini e quanto e come bisogna fare per fornire all’esterno elementi utili per contribuire alla crescita socio-culturale e socio-economica del Territorio stesso. In tutta onestà, devo dire che questo rapporto è difficile, anche perché bisogna innanzitutto “comprendersi”: non si stratta di parlare lo stesso linguaggio in senso letterale, ma di decodificare tale linguaggio cercando di far comprendere esattamente cosa si intende in base alle proprie aspettative. Al di là di alcune difficoltà specifiche, devo dire che in genere ho trovato interlocutori interessati a un dialogo costruttivo. Sono certo che i frutti di questa interazione ci saranno.