Pubblicato in: Sab, Nov 14th, 2015

Intolleranze e Allergie: le cause e i sintomi, la diagnosi e le terapie

La Nutrizionista Sonia Conte: Evitare cibi intolleranti è importante tanto quanto variare la dieta. 

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“La reazione allergica è una reazione immunitaria, nella quale l’organismo produce anticorpi, dovuta all’ingestione di uno specifico alimento, più precisamente delle proteine in esso contenute”. 

“L’uomo è ciò che mangia”, affer­mava il filosofo Feuerbach, con­sapevole che lo stato di salute è fortemente corre­lato all’alimentazione. Concetto ben divulgato, ma non sempre accolto. L’attuale stile di vita, forse più globalizzato, più con­sumistico, ha accentuato alcu­ne “patologie del benessere”, che hanno bisogno di precise diagnosi e cure. Già Ippocrate aveva osservato che il latte vac­cino può provocare turbe gastri­che, orticaria, cefalea e Lucre­zio precisava “quello che per un individuo è cibo, può essere per un altro veleno”. Recenti dati, difatti, confermano un sostan­ziale aumento delle allergie e intolleranze alimentari, a volte confuse, segno che cibo e salute formano un binomio spesso tra­scurato o dimenticato. Che cosa sono, come si manifestano, come si curano. Ne parliamo con la dottoressa Sonia Conte, biologa nutrizionista.

Spesso si fa confusione tra allergie e intolleranze alimentari. Come possia­mo distinguerle?

Dalla velocità con cui si ma­nifestano: la reazione allergica per definizione è immediata e coinvolge il sistema immunita­rio; dal momento del contatto con la sostanza allergizzante al momento della manifestazio­ne dei sintomi intercorrono tra i 5 e 30 minuti. L’intolleranza alimentare, invece, coinvolge il metabolismo, non il sistema im­munitario.

Cos’è un’allergia?

Il termine allergia fu co­niato da Von Pirquet nel 1906 per indicare l’alterata reattività dell’organismo nei confronti di sostanze generalmente innocue. Le allergie e le intolleranze ali­mentari fanno parte del più va­sto campo delle reazioni avverse agli alimenti e, tra queste, delle reazioni di tipo non tossico.

Reazioni avverse?

Sì, l’Accademia Americana di Allergia e Immunologia ha stabilito di usare come termine onnicomprensivo quello di rea­zione avversa al cibo, definendo intolleranza tutti i disturbi non mediati da meccanismi immu­nologici e riservando il termine allergia ai disturbi mediati da meccanismi immunologici. Su questa linea l’Accademia Euro­pea di Allergologia e Immuno­logia Clinica introduce l’utile distinzione tra le reazioni av­verse al cibo non tossiche, che dipendono dalla suscettibilità individuale e le reazioni tossi­che, che dipendono dalla dose e non da una particolare suscetti­bilità individuale.

Cosa avviene in una rea­zione allergica?

È una reazione immunitaria, nella quale l’organismo produ­ce anticorpi, dovuta all’inge­stione di uno specifico alimento (più precisamente delle proteine in esso contenute). Tale reazio­ne si esprime al primo contatto con una sostanza normalmente innocua, percepita come mi­naccia, l’allergene, attraverso la formazione di anticorpi spe­cifici, che prendono il nome di immunoglobuline E (IgE). Que­sti anticorpi hanno il compito di difendere l’organismo da ciò che esso stesso riconosce come “non self”, cioè estraneo. In oc­casione di un’eventuale e suc­cessiva esposizione, a seguito della reazione fra l’alimento al­lergenico e l’anticorpo, si libera una sostanza, l’istamina, prin­ cipale responsabile dei sintomi caratteristici di tutte le reazioni allergiche.

Come possiamo ricono­scerne i sintomi?

Secondo il tipo di reazione allergica, possono manifestarsi immediatamente dopo l’inge­stione dell’alimento incrimi­nato oppure a distanza di ore, indipendentemente dalla quan­tità di cibo ingerito e possono interessare diversi organi e apparati. Gonfiore, prurito del cavo orale e faringeo, nausea, vomito, crampi addominali, diarrea e flatulenza, reflusso gastroesofageo sono i sintomi di tipo gastrointestinale; orti­caria, angioedema, dermatite atopica, rinite, asma sono sin­tomi di tipo cutaneo e respira­torio. A questi si possono asso­ciare cefalea, emicrania e, nei casi più gravi, shock anafilatti­co (brusche cadute di pressione arteriosa, perdita di coscienza e in alcuni casi morte).

Quali sono i diversi aller­geni chiamati in causa?

I principali allergeni, in ordine di prevalenza, sono rap­presentati da latte vaccino, fru­mento, uovo, arachidi e legumi, crostacei, pesce, mele e prunoi­dee, carne di suino, più rare le altre, molluschi di mare, frutta e verdura.

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Che terapia consigliereb­be?

Oltre alla terapia farmaco­logica dettata dalla necessità di controllare i sintomi, special­mente quelli più gravi, come da shock anafilattico l’unica tera­pia dietetica di sicura efficacia è la dieta da eliminazione. Con­siste nell’eliminazione di uno o più alimenti e in alcuni casi di gruppi alimentari, nei confron­ti dei quali sia stata accertata un’ipersensibilità, attenendosi al comandamento che in ogni caso una dieta di esclusione, specie se ristretta, è giustificata solo se la malattia è peggiore della dieta stessa.

E sulle intolleranze alimen­tari cosa possiamo dire?

L’etimologia del termine “intolleranza” indica l’incapa­cità di sopportare, di tollerare l’ingestione di un alimento o suoi componenti. La reazione che ne consegue, a differenza delle allergie alimentari, non è mediata da meccanismi immu­nologici ma è dose dipendente, ossia è strettamente legata alla quantità di alimenti ingeriti.

Quali sono le intolleranze alimentari?

Esistono diverse tipologie d’intolleranze alimentari. Rias­sumendo indichiamo quelle en­zimatiche, determinate dall’in­capacità, per difetti congeniti, di metabolizzare, digerire e/o assorbire alcune sostanze pre­senti nell’organismo. L’intolle­ranza enzimatica più frequente è quella al lattosio, una sostan­za contenuta nel latte; un altro esempio d’intolleranza dovuta alla carenza di un enzima è il favismo, un cenno a parte meri­ta il Morbo Celiaco. Le intolle­ranze farmacologiche sono de­terminate da un’iper-attività nei confronti di particolari sostanze presenti in alcuni cibi. Tra que­ste citiamo le istaminiche (for­maggi, birra, cioccolato etc.),  le tiraminiche (formaggi, ba­nane, avocado etc.) anche se la classificazione scientifica è più complessa. Infine ci sono le in­tolleranze indefinite: la reazio­ne può essere dovuta ad alcuni additivi aggiunti agli alimenti come coloranti, conservanti, antiossidanti, correttori di aci­dità, addensanti, emulsionanti e altro.

I principali sintomi?

Le intolleranze alimentari essendo dose-dipendenti si pos­sono presentare sin dallo svez­zamento, ma di solito si svilup­pano come risultato di ripetute assunzioni del cibo in questio­ne. I sintomi, legati all’accu­mulo tossico di sostanze non tollerate dall’organismo, in genere compaiono con un certo ritardo rispetto all’assunzione delle stesse. I sintomi più co­muni sono astenia, alitosi, afte orali, aerofagia, meteorismo, difficoltà digestive, edemi. In letteratura sono riportati di­versi tipi di patologie come cefalee, vertigini, coliti, diar­ree, infezioni delle vie urinarie, candidosi, mialgie, etc.

Quali le cause scatenanti?

Nelle intolleranze alimen­tari può essere riscontrata in un’alterata funzionalità inte­stinale determinata da diversi fattori: gastroenteriti infantili, infezioni da rotavirus, enteri­ti dell’adulto, coliti croniche, contaminazione del cibo per opera d’insetticidi.

Quali i test per la diagno­si?

Diversi sono i test per la diagnosi, alcuni dei quali non ufficiali perché privi di validità documentata nella letteratura scientifica internazionale uffi­ciale. Non appartengono a que­sta categoria i test sierologici anticorpali nella diagnosi di ce­liachia, il breath test al lattosio nella diagnosi relativa alla sua intolleranza.

Come si interviene dal punto di vista dietoterapi­co?

Una volta stabilita e accer­tata la natura della reazione av­versa all’alimento/i è possibile intraprendere il relativo tratta­mento dietoterapico, che pre­vede la riduzione/eliminazione temporanea dell’alimento/i chiamato in causa. Evitare cibi intolleranti è importante tanto quanto variare la dieta; è dun­que imperativa la necessità di ruotare i cibi tollerati, allo sco­po sia di non creare lo sviluppo di nuove intolleranze, sia di non creare deficit nutrizionali. Sa­rebbe auspicabile che tali inter­venti venissero effettuati sotto stretto controllo di un professio­nista. Al termine del periodo di riduzione/eliminazione è neces­sario reintrodurre l’alimento/i al quale si era intolleranti in maniera intervallata e in dosi progressivamente crescenti, allo scopo di riconoscere la soglia di tolleranza specifica di ciascun paziente che, se supera­ta, potrebbe portare nel tempo alla ricomparsa della sintoma­logia.

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