Negli affreschi la storia di un popolo
Novoli/Alla ribalta alcuni dipinti che raccontano gli assalti dei Turchi nelle zone costiere del Salento.
La storia di un popolo non è conservata solo negli Archivi ma, luogo privilegiato, sono quelle piccole cappelle che custodiscono preziosi affreschi, magari sbiaditi che rivelano storie a noi sconosciute. Dipinti da mani ignote, con tecniche molto primitive, in modo approssimativo, avevano però la forza di attrarre, raccontare e trasmettere a quelle generazioni fatti e miracoli che oggi a noi è impossibile decifrare. E la Cappella della “Mater Domini”, culla del nascente popolo di “Sancta Maria de Novis”, di queste perle ne ha abbastanza: oltre all’affresco dell’“Odegitria” che troneggia nell’abside, c’è quello dell’Annuncio a Maria Santissima. dell’avvenuta risurrezione del Figlio, ed altri quattro affreschi, richiusi in quadri con cornice di legno e vetro sul davanti; vennero alla luce nel 1865, durante l’abbattimento dell’altare barocco addossato al muro, per l’allungamento della Cappella. Erano posti ai lati dell’icona centrale; da antiche note apprendiamo che erano stati eseguiti nel 1468 (o 1618, secondo altre fonti), ma allo stato attuale quelle date sono solo da prendere come informazione, poiché non ci sono altri documenti di riscontro. Abbiamo detto che i quadri sono quattro; tre narrano la storia di monaci: uno rappresenta un monaco impiccato, ma è rovinato del tutto, quindi illeggibile; in un altro affresco c’è un monaco inginocchiato con dei soldati attorno, forse sta per essere appeso ad una forca; l’abbigliamento dei soldati è tipico dei musulmani; un altro affresco conserva al centro una barca con all’interno degli uomini che navigano tra cui, si staglia la figura di un monaco benedicente; lo stato di conservazione è mediocre e la parte superiore si è sbriciolata; l’ultimo, il meglio conservato, ci presenta una città con tanti campanili, tante case, è cinta da mura, con la presenza di demoni, alcuni sono nello spazio antistante le mura, mentre altri entrano nella città fortificata attraverso la porta; nella parte superiore un angelo sta svuotando sulla città una coppa piena dell’ira divina.
In occasione del secondo allagamento della Cappella, nel gennaio del 1955, gli affreschi furono staccati dal prof. Amerigo Barracchia, della Sovrintendenza di Bari, incollati su tela e posti in appositi quadri per poter essere appesi. E fin qui è quanto ancora si può vedere, anche se il loro stato va sempre più deteriorando. Ma veniamo al quadro che rappresenta una città: nel 1995, si trovò a Novoli papas Donato Giannotti, parroco della Chiesa greca di Lecce. Quando vide quegli affreschi, fu colto da un indicibile stupore, poi rivolgendosi ai presenti, disse: “Rivedete bene questi affreschi, essi ci riportano ai tempi delle razzie dei turchi sulle coste salentine”. Quelle parole rimasero impresse nella mia mente: aveva poi ragione papas Donato? Molto probabilmente, questi affreschi sono lì per raccontarci tristi storie che i nostri antenati avevano vissuto o sentito raccontare: di razzie e assalti perpetrati dai turchi nelle zone costiere, le vecchie cronache ne tramandano alcune ma, oggi, a noi manca la chiave interpretativa. Lo sbarco dei turchi e l’eccidio di Otranto nel 1480 fu solo l’apice di queste razzie perpetrate negli anni precedenti e seguenti a quella data, fino al XIX secolo. In quel quadro, la città fortificata vorrebbe essere Otranto, l’angelo in alto versa la coppa del castigo divino sulla città, mentre dalla porta centrale vi entrano i demoni per poter completare l’opera della punizione divina. Una cosa è certa: la maggior parte dei paesi a nord di Lecce, hanno incominciato a scrivere la loro storia dopo quei fatti. Ecco perché si tramanda la data del 1468! Giorni fa, una serie di telefonate mi ha lasciato perplesso: … cosa è stato scoperto? Niente. I quadri stanno là da tanto tempo, molti altri, prima di me si sono interessati, quindi … non c’è niente di nuovo oggi sotto il sole. Hanno bisogno di un serio restauro conservativo, almeno per quelli che si possono recuperare!
Antonio Tamiano