Fondazione Bertelsmann/Giustizia sociale. Restituire e ridistribuire i segreti per ripartire
I risultati di una ricerca secondo cui in Italia aumenta la povertà ma crescono le pari opportunità e la non discriminazione.
IL PUNTO/“SOFFERENZE” IN AUMENTO: SITUAZIONE ESPLOSIVA
Fra gli aspetti più odiosi della crisi attuale vi è senz’altro la concentrazione delle ricchezze in poche mani. Il che va contro ogni logica di giustizia sociale. Il tema ormai sta diventando “esplosivo” poiché pone problemi non solo di redistribuzione economica, ma soprattutto riguardo alle crescenti sofferenze sociali. E si badi bene che parlare di sofferenze sociali è un ossimoro. Infatti, nulla più della sofferenza rimanda ad una dimensione individuale (connessa a malattie, privazioni psicologiche, lacerazioni di relazioni …), mentre il sociale è l’esatto contrario, la dimensione dello stare insieme, la convivenza nel territorio, la condivisione in ambito comunitario. E non a caso la tesi dominante tende a relegare le condizioni di fragilità e di debolezza in una dimensione prettamente privata: lo Stato, il pubblico, infatti, non avrebbero più le risorse per far fronte ai bisogni sociali. Tant’è che il welfare state è addirittura diventato un lusso che non ci possiamo più permettere! Così le determinanti economiche, politiche e sociali della sofferenza diventano un tabù. Non se ne parla pubblicamente: tanto le risorse non ci sono, tanto la politica è impotente, tanto gli apparati istituzionali sono solo un ricettacolo di abusi, sprechi e carrierismo. Considerazioni queste che, pur avendo una parte di verità, non andrebbero comunque assolutizzate.
Altrimenti si finisce per rendere doppiamente invisibile la sofferenza sociale: una prima volta relegandola in luoghi specifici (le mura domestiche, le periferie abbandonate, gruppi e contesti economicamente deprivati …), una seconda volta negandole il diritto di essere posta come questione economica e politica che investe la collettività ed i suoi valori di riferimento. Per questa via si arriva ad “incolpare” i singoli per essere caduti in una delle tante categorie di svantaggio, categorie che diventano ormai sempre più paradossali: giovani che non trovano lavoro (come se fosse colpa loro!), adulti espulsi dal mondo produttivo, anziani abbandonati, donne meridionali (queste poi: incolpabili di che?). Queste dinamiche non riguardano ovviamente solo il Salento, ma se viste nelle loro dimensioni nazionali ed internazionali, ci lasciano schiacciati, impotenti, incapaci di pensare azioni in grado di affrontarle. Per questo dopo aver preso coscienza delle loro dimensioni globali, occorre poi rimboccarsi le maniche per sviluppare azioni locali. È infatti nella dimensione locale che si possono individuare strategie ed alleanze (fra istituzioni, terzo settore, imprese, cittadini …) per creare percorsi di prossimità, attivare processi di cambiamento dentro le comunità, liberando le energie psichiche di ognuno che, per definizione, sono creative e generative. Perché è solo nella dimensione micro che si possono agire quegli interventi di vicinanza e condivisione che restano gli unici in grado di garantire la redistribuzione delle opportunità e la giustizia sociale.
Daniele Ferrocino