Pubblicato in: Gio, Set 25th, 2014

Fondazione Bertelsmann/Giustizia sociale. Restituire e ridistribuire i segreti per ripartire

Quali sono invece i nostri punti di forza? In base alla sua espe­rienza, il Salento segue il trend nazionale descritto nel rapporto Bertelsmann, secondo cui almeno per le pari opportunità e per la non discriminazione l’Italia darebbe se­gnali piuttosto positivi rispetto al resto dell’Europa?

È bello che l’Italia dia segnali posi­tivi in qualche campo della vita e dell’at­tività sociale. I punti di forza stanno in una storia e una cultura che, da secoli, a problemi e povertà uniscono umanità, sensibilità, vicinanza, ospitalità, relazio­ne umana, dialogo! Occorre però difen­dere questi valori culturali dall’erosione del tempo, dall’assalto di tanti pseudo­valori portati dai trend dominanti, dalla corruzione diffusa e capillare! C’è cul­tura e cultura: c’è una cultura di morte che, nella molteplicità, divisione e con­fusione, spesso anzi nella polverizzazio­ne delle condizioni di vita, si alimenta di riflussi nel privato, di rifugi negli angoli del proprio interesse, di assolutizzazione del proprio “sentire”, di ogni forma di individualismo, liberismo, permissivi­smo… Il guaio non è tanto che ci siano episodi o esperienze di male; ciò che è più grave è che se ne accetti e se ne svi­luppi la “cultura”! Occorre una cultura alternativa, almeno quella dei valori più semplici e fondamentali della vita, a cui cercare di guardare insieme, togliendo diritto di asilo e di cittadinanza alla cul­tura dell’egoismo e della morte e colti­vando almeno una mentalità di diritti, doveri, valori! Così anche le identità/ diversità costitutive della persona, e le differenze storico-socio-culturali, non saranno ostacolo, distanza, paura, con­trapposizione, conflitto, ma risorse fon­damentali, che, al valore di cui sono già portatrici in se stesse, aggiungeranno il valore dell’integrazione o, comunque, del dialogo e della cooperazione.

Un dato allarmante riguarda la giu­stizia tra le generazioni che pena­lizza i giovani italiani e nel Sud la situazione è addirittura peggiore. Cosa bisognerebbe fare per ridare fiducia e speranza ai giovani che né studiano né cercano lavoro?

Una risposta efficace non può che essere data a livello nazionale: ci vo­gliono “politiche” degne di questo nome (arte di governare il vivere e camminare insieme come cittadini, di rispondere ai bisogni organizzando i servizi, “creando” insieme il “bene comune”), politiche “sociali” (che nessuno sia escluso, che siano di “in­clusione”, che partano e ripartano dagli ultimi, i piccoli, i deboli) e poli­tiche sociali “giovanili” che, vedendo i giovani non solo come problema, ma come risorsa, investano su di loro e con loro costruiscano il futuro del pae­se. Un atto previo di queste “politiche” sta nel prendere coscienza che uno dei gravi problemi del nostro tempo è la “rottura” tra generazioni: si è rotta la catena di trasmissione dei valori dagli adulti ai giovani! Nelle agenzie educative primarie, famiglia e scuola, né genitori né insegnanti riescono or­dinariamente a far passare nei figli e negli alunni i valori in cui credono; i giovani sono “bombardati” da mille altre voci che risuonano e rimbalzano in mille modi sia nello spazio fisico che nel cyberspazio! È, da tempo, emer­genza educativa! È sfida pedagogica, parte di un travaglio e di una sfida cul­turale globale! La politica deve fare la sua parte, ma sono chiamate in causa la persona la coppia, la famiglia, la so­cietà, la cultura, la religione…

Dal rapporto si evince come non sempre, a performance economi­che positive di un paese corrispon­da poi un alto grado di giustizia sociale (solidarietà, bene comune, sussidiarietà sono spesso in con­flitto con la ricerca del benessere). Cosa può insegnarci la dottrina sociale della Chiesa cattolica per la realizzazione della giustizia so­ciale?

La dottrina sociale della Chiesa si muove tra Dio e l’uomo, tra il Vangelo e la libertà umana, tra la fede e la vita, tra la spiritualità e la sua incarnazione nella storia. Può e deve agire sul pia­no culturale sia per chi parte da Dio e dalla fede sia per chi parte dall’uomo e dai suoi bisogni e speranze. A chi par­te dalla fede, la dottrina sociale della Chiesa rilancia l’appello alla conver­sione proveniente dal Vangelo; e in­dica le vie per tradurre il Vangelo in servizio, spingendo la “conversione” oltre i confini individuali e interiori. La conversione comporta infatti anche dimensioni sociali e culturali; chiede di trarre, dalla “città di Dio”, i crite­ri per costruire la “città dell’uomo”, per sviluppare progettualità, operosità e industriosità, immettendo, nelle vene della convivenza civile, sangue rigene­ratore di onestà, responsabilità, parte­cipazione, passione per l’uomo, custo­dia del creato, convivialità dei popoli, costruzione di una Chiesa della profe­zia e del grembiule, anticipazione del Regno sulla terra. A chi parte dall’uo­mo, la dottrina sociale della Chiesa, in tempi di corruzione e di caos come i nostri, presenta la bellezza, la gran­dezza, di certi ideali e valori umani dimenticati; apre gli orizzonti di quelle “utopie sociali” che fanno da traguar­do e danno senso alla fatica del vivere, operare, camminare insieme; offre alla vita, naufragata nel vuoto esistenziale, nella vanità e nell’effimero, e ingombra di riempitivi e surrogati, tentata da mil­le chiusure ed evasioni o lacerata da tante divisioni e conflitti spesso crude­li, un nuovo “immaginario” comune e un nuovo “vocabolario” che permetta di chiamare “male” il male e “bene” il bene; di risvegliare la coscienza e dotarla di autentico senso critico; di far risuonare la profezia sui passi della quotidianità, di sostenere la lotta per il bene comune, di organizzare la speran­za.

Fatima Grazioli 

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