Fondazione Bertelsmann/Giustizia sociale. Restituire e ridistribuire i segreti per ripartire
Quali sono invece i nostri punti di forza? In base alla sua esperienza, il Salento segue il trend nazionale descritto nel rapporto Bertelsmann, secondo cui almeno per le pari opportunità e per la non discriminazione l’Italia darebbe segnali piuttosto positivi rispetto al resto dell’Europa?
È bello che l’Italia dia segnali positivi in qualche campo della vita e dell’attività sociale. I punti di forza stanno in una storia e una cultura che, da secoli, a problemi e povertà uniscono umanità, sensibilità, vicinanza, ospitalità, relazione umana, dialogo! Occorre però difendere questi valori culturali dall’erosione del tempo, dall’assalto di tanti pseudovalori portati dai trend dominanti, dalla corruzione diffusa e capillare! C’è cultura e cultura: c’è una cultura di morte che, nella molteplicità, divisione e confusione, spesso anzi nella polverizzazione delle condizioni di vita, si alimenta di riflussi nel privato, di rifugi negli angoli del proprio interesse, di assolutizzazione del proprio “sentire”, di ogni forma di individualismo, liberismo, permissivismo… Il guaio non è tanto che ci siano episodi o esperienze di male; ciò che è più grave è che se ne accetti e se ne sviluppi la “cultura”! Occorre una cultura alternativa, almeno quella dei valori più semplici e fondamentali della vita, a cui cercare di guardare insieme, togliendo diritto di asilo e di cittadinanza alla cultura dell’egoismo e della morte e coltivando almeno una mentalità di diritti, doveri, valori! Così anche le identità/ diversità costitutive della persona, e le differenze storico-socio-culturali, non saranno ostacolo, distanza, paura, contrapposizione, conflitto, ma risorse fondamentali, che, al valore di cui sono già portatrici in se stesse, aggiungeranno il valore dell’integrazione o, comunque, del dialogo e della cooperazione.
Un dato allarmante riguarda la giustizia tra le generazioni che penalizza i giovani italiani e nel Sud la situazione è addirittura peggiore. Cosa bisognerebbe fare per ridare fiducia e speranza ai giovani che né studiano né cercano lavoro?
Una risposta efficace non può che essere data a livello nazionale: ci vogliono “politiche” degne di questo nome (arte di governare il vivere e camminare insieme come cittadini, di rispondere ai bisogni organizzando i servizi, “creando” insieme il “bene comune”), politiche “sociali” (che nessuno sia escluso, che siano di “inclusione”, che partano e ripartano dagli ultimi, i piccoli, i deboli) e politiche sociali “giovanili” che, vedendo i giovani non solo come problema, ma come risorsa, investano su di loro e con loro costruiscano il futuro del paese. Un atto previo di queste “politiche” sta nel prendere coscienza che uno dei gravi problemi del nostro tempo è la “rottura” tra generazioni: si è rotta la catena di trasmissione dei valori dagli adulti ai giovani! Nelle agenzie educative primarie, famiglia e scuola, né genitori né insegnanti riescono ordinariamente a far passare nei figli e negli alunni i valori in cui credono; i giovani sono “bombardati” da mille altre voci che risuonano e rimbalzano in mille modi sia nello spazio fisico che nel cyberspazio! È, da tempo, emergenza educativa! È sfida pedagogica, parte di un travaglio e di una sfida culturale globale! La politica deve fare la sua parte, ma sono chiamate in causa la persona la coppia, la famiglia, la società, la cultura, la religione…
Dal rapporto si evince come non sempre, a performance economiche positive di un paese corrisponda poi un alto grado di giustizia sociale (solidarietà, bene comune, sussidiarietà sono spesso in conflitto con la ricerca del benessere). Cosa può insegnarci la dottrina sociale della Chiesa cattolica per la realizzazione della giustizia sociale?
La dottrina sociale della Chiesa si muove tra Dio e l’uomo, tra il Vangelo e la libertà umana, tra la fede e la vita, tra la spiritualità e la sua incarnazione nella storia. Può e deve agire sul piano culturale sia per chi parte da Dio e dalla fede sia per chi parte dall’uomo e dai suoi bisogni e speranze. A chi parte dalla fede, la dottrina sociale della Chiesa rilancia l’appello alla conversione proveniente dal Vangelo; e indica le vie per tradurre il Vangelo in servizio, spingendo la “conversione” oltre i confini individuali e interiori. La conversione comporta infatti anche dimensioni sociali e culturali; chiede di trarre, dalla “città di Dio”, i criteri per costruire la “città dell’uomo”, per sviluppare progettualità, operosità e industriosità, immettendo, nelle vene della convivenza civile, sangue rigeneratore di onestà, responsabilità, partecipazione, passione per l’uomo, custodia del creato, convivialità dei popoli, costruzione di una Chiesa della profezia e del grembiule, anticipazione del Regno sulla terra. A chi parte dall’uomo, la dottrina sociale della Chiesa, in tempi di corruzione e di caos come i nostri, presenta la bellezza, la grandezza, di certi ideali e valori umani dimenticati; apre gli orizzonti di quelle “utopie sociali” che fanno da traguardo e danno senso alla fatica del vivere, operare, camminare insieme; offre alla vita, naufragata nel vuoto esistenziale, nella vanità e nell’effimero, e ingombra di riempitivi e surrogati, tentata da mille chiusure ed evasioni o lacerata da tante divisioni e conflitti spesso crudeli, un nuovo “immaginario” comune e un nuovo “vocabolario” che permetta di chiamare “male” il male e “bene” il bene; di risvegliare la coscienza e dotarla di autentico senso critico; di far risuonare la profezia sui passi della quotidianità, di sostenere la lotta per il bene comune, di organizzare la speranza.
Fatima Grazioli